“Vada alla Tipografia F.lli Karam, nel quartiere di Ashrafiyeh a Beirut Est. Ci troverà un correttore di bozze in arabo. Requisisca il libro di poesie che ha sulla scrivania e avrà la prova che sta cercando”. Il messaggio, scritto in francese, arriva sul telefonino di un poliziotto libanese, appartenente alla sezione “contrasto ai crimini finanziari”. L’operazione parte dopo che, attraverso l’Interpol, si è scoperto che in Brasile sono stati trovati ingenti quantità di moneta falsa, la cui fabbricazione pare essere in Libano, a Beirut, e precisamente in una tipografia storica della città, fondata nel 1908 dai F.lli Karam, nonno e fratello, poi separatisi negli affari, degli attuali proprietari. Ma da chi è arrivata la soffiata del libro di poesie?
Lo scopriremo leggendo il bel romanzo di Jabbour Douaihy, “Printed in Beirut”, tradotto da Elisabetta Bartuli per Francesco Brioschi Editore.
Ma veniamo al libro di poesie imputato. Cosa ha di tanto compromettente? Tra l’altro, il suo autore, Farid Halim Abu Sha’ar è un giovane aspirante scrittore che, prima di veder misteriosamente pubblicata quell’unica copia delle sue poesie, ha girato per tutte le case editrici, ricevendo ogni volta sonori rifiuti. Anche dalla stessa Tipografia dei F.lli Karam, il cui proprietario, però, Anis Al-Alawai, nipote, appunto, di Abd al-Amid il fondatore, visto che Farid conosce bene l’arabo, lo assume come correttore specifico dei testi in lingua araba, visto che in libano la tipografia stampa in francese, druso, maronita, greco, turco ecc.ecc.
Farid accetta di buon grado, e sempre tiene con se, accanto, mentre corregge le bozze di stampa, il suo quaderno rosso con le poesie, attirando così l’attenzione della bella e romantica moglie del proprietario, la greca Persefone, chiamata più brevemente Perso, che resta affascinata dai versi che ha chiesto a Farid di leggerle, tanto che lei, per fargli una sorpresa, a sua insaputa gli sottrae il quaderno di poesie e, di nascosto, ne fa stampare un’unica, raffinatissima copia dell’intera silloge. Anche se mai rivelerà a Farid di essere stata lei a fargli quel regalo, lui lo capirà da un sorriso “che per lui era difficile interpretare mentre stava lì in piedi ad aspettare, emozionato da tanta vicinanza, senza dire una parola per paura di rovinare quello che si stava intessendo tra loro”. Finché una notte non si trovano a far l’amore sulla nuova rotativa Heildelberg, che lavorava per stampare le tante pubblicazioni della tipografia.
D’altra parte, la presenza notturna di Farid era dovuta al tanto lavoro che aveva, per cui non riusciva più a fare le sue correzioni soltanto nei canonici orari di ufficio, per cui le correzioni continuava a farle a casa oppure doveva restare in tipografia le notte. Ed è in una di queste notti che Persefone, sempre così inquieta, si trova ancora sveglia a girovagare per la tipografia che si trova proprio sotto l’appartamento in cui vive, e incontra Farid. “Lui, vedendola, emise un gridolino. Lei si portò l’indice alle labbra per dirgli di tecere. Come se anche una sola parola potesse attirare l’attenzione del guardiano notturno o rovinare il loro incontro…” Basterà poco perché lui la prendesse tra le braccia. “Lei gli si strinse contro e chiuse gli occhi, lui aspirò il profumo del suo sonno; nel buio restarono abbracciati a lungo, sentendo solo il soffio dei suoi respiri…” finché “Lei si arrese alla sua forza e gli passò le braccia attorno al collo. Lui la portò alla Heildeber XL162.”
Una rotativa che c’entra molto nell’economia della storia che “Printed in Beirut” racconta.
Ma ci vorranno mesi di indagini per venire a capo del reato, finché un poliziotto olandese dell’Interpol, nel seguire l’anonimo sms pervenuto sul telefonino, non fece una incomprensibile quanto fugace vista in tipografia, dove non tutti lo avevano visto “acchiappare in un nano secondo il libro che stava sulla scrivania di Abu Sha’ar”. “A Joop Van de Klerk bastarono uno dei microscopi in dotazione al laboratorio della polizia scientifica che operava per la direzione generale delle Forze interne di Sicurezza e non più di due gocce di un liquido violetto, che stillò su un ritaglio minimale, per confermare quello di cui era già certo, ossia che aveva trovato la carta che cercava”.
Ma il giallo non è certo finito. Il reato c’è, ma il colpevole? E il delatore? Cosa non prendere alla leggera, considerando che la tipografia stessa è al centro di una guerra tipica delle condizioni del Libano, e non solo degli ultimi anni. Attraverso la sua storia, infatti, passa la storia del Libano, le decine di attentati, provenienti dai più diversi attori, ogni volta che la tipografia stampava qualcosa non gradita a questa o a quella parte in causa. E ancora era così. Chi li aveva denunciati? “Qualcuno bisbigliò che la spiata doveva per forza essere partita da dentro la tipografia” Anche perché il reato era a rischio di chiusura per la tipografia. E non era facile accettare l’idea della chiusura di un’attività dopo 100 anni. Tante le persone che rischiavano di perdere il lavoro: quattordici infografici, undici addetti ai macchinari, cinque tecnici di produzione, tre grafici, due calligrafi, cinque imballatori ecc.ecc. Secondo il proprietario “dietro a quella faccenda c’era un Tenente colonnello della sezione Crimini finanziari – un druso – che ce l’aveva con loro; gli disse anche ‘se vuole soldi, glieli daremo, ma che ci lasci in pace’ ”.
D’altra parte l’ordine di comprare la rotativa Heildelberg non era venuta dall’alto, tanto da svuotare le casse dell’azienda, con la promessa che avrebbero trovato il modo di ripianare i debiti? Non è a caso che “La tipografia Karam ha goduto della loro fiducia per anni, fin dai tempi del Mandato francese. Ci hanno dato da stampare i francobolli e le carte bollate. E non dimentichiamoci i biglietti della lotteria nazionale. E La Gazzetta ufficiale dove la mettiamo?”.
No, non è un’indagine di facile soluzione. Ma la verità, come nei gialli che si rispettano, salterà fuori soltanto alla fine. Intanto si goda di un romanzo che non è solo un giallo, ma anche un pezzo di storia e di costume del Libano.
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