Si parte sempre dalla propria biografia, magari solo quella interiore. Non c’è scrittore che non lo faccia. Non vale solo per Flaubert “Madame Bovary c’est moi”, ma anche per un autore, ad esempio, che ha costruito la sua fortuna sul romanzo fantasy come Tolkien che ha tratto i suoi personaggi della immaginaria Terra di Mezzo dalla sua biografia, a cominciare dall’amore e dal dolore per la morte della moglie Edith, per non parlare della sanguinosa battaglia della Somme, alla quale lo scrittore partecipò e perse alcuni suoi cari amici. Ora Stefania Nardini, con il suo ultimo romanzo “La combattente”, edito da e/o non è da meno. E’ senz’altro partita dallo stato d’animo, l’angoscia della malattia e la disperazione della morte dell’uomo che ha sposato e padre di suo figlio, ma poi, da grande professionista, ha saputo deviare da quell’evento tragico e dai sentimenti, reazioni ed emozioni che ha provocato, per innestare una storia avvincente, ricca di spunti noir, che è poi cifra della Nardini scrittrice, studiosa di Jean-Claude Izzo, del quale ha scritto la biografia, e di romanzi di genere che ormai, almeno in Italia, sono la migliore chiave interpretativa della realtà politica e sociale come benissimo testimoniano i romanzi di un Giancarlo de Cataldo o di un Massimo Carlotto.
L’avvio de “La combattente”, una storia raccontata in prima persona, è la morte del marito Fabrizio, della protagonista, Angelita, dal nome mitico della bambina trovata sulla spiaggia di Anzio dagli americani, nel corso dello sbarco del gennaio 1944, affidata a una crocerossina, poi, però, morta durante un bombardamento tedesco. Abbiamo qui pagine intense che riportano l’autrice ai giorni del lutto. Nonostante si nasconda dietro il nome di Angelita, abbiamo tutta Stefania qui, che non si maschera neppure dietro una professione fittizia, per essere giornalista e scrittrice, madre di un figlio, in giro per l’Italia per il suo lavoro di giornalista precario. Ed è in quel periodo di lutto che, in seguito a un allagamento per un guasto, della cantina della grande villa in cui Angelita vive in Umbria, che da una crepa nel muro compaiono una pistola, una Browning, una di quelle che erano in uso negli anni del terrorismo rosso e quattro lettere scritte, partite da Marsiglia ma scritte in tedesco e firmate da una donna, Monika, e in cui si fa in tutte riferimento a un certo Christian. Persone delle quali il marito non le ha mai parlato. Così come non le ha mai parlato della pistola. C’è molto di più di un disappunto in questa scoperta che va oltre la pistola e le lettere stesse, c’è offesa e umiliazione per avere il sua compagno di una vita, del quale si è sentita sempre amata fino alle ultime parole pronunciate in punto di morte, per avere taciuto con lei quello che doveva essere per lui un segreto. Perché? Cosa rappresentano quella pistola e quelle quattro lettere di una donna in tedesco?
La prima cosa a cui Angelita pensa è di far tradurre le lettere, ma a una persona di sua fiducia, non sapendo ancora il contenuto delle stesse, collegato senza dubbio alla Browning, col rischio di mettere in piazza antiche colpe. Riuscirà per fortuna a trovare la persona giusta in una ragazza che fin da bambina frequentava la casa e che, studiosa di lingue, aspira a diventare traduttrice letteraria. Ma, nonostante la traduzione, le quattro lettere mantengono le loro zone d’ombra. “Rilessi le lettere soffermandomi sui dettagli. Christian era un nome di copertura. Ne ero certa. Era lui il tramite tra Monika e Fabrizio. Perché quel nome francese? Le lettere erano partite da Marsiglia, certo, ma la comunicazione era tra una donna tedesca e un italiano”. Fabrizio aveva amato quella donna, traspare chiaramente da quanto lei scrive, ma era anni prima che Angelita lo conoscesse nel corso di un’inchiesta giornalistica sui manicomi, e poi di una indimenticabile vacanza in Grecia, in cui lei gli aveva regalato quella conchiglia trovata sula spiaggia dove avevano fatto l’amore per la prima volta, e che ora è riposta con lui, tra le sue mani, in una tomba del cimitero. Perché non le ha mai parlato di questa Monika? Chi era, chi è questa donna? E la pistola? Comincia da queste domande un’indagine sul passato di Fabrizio che la porterà agli anni di piombo e, più ancora, alla RAF tedesca, ovvero il gruppo terroristico Rote Armee Fraktion, che all’inizio fu conosciuto come la Banda Baader-Meinhof, dal nome dei due estremisti di sinistra fondatori della RAF. E l’indagine la condurrà in un mondo di fantasmi, che racconterà la follia di quegli anni, follia che avrà risvolti pesanti nella vita intima e privata dei suoi protagonisti da giustificare il silenzio di Fabrizio.
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