Lockdown: fino a un anno fa dovevamo cercarne la traduzione sul dizionario, poi a causa della pandemia è diventato un termine purtroppo familiare al punto che le traduttrici del romanzo di Peter May hanno lasciato il titolo originale in inglese. Nella prefazione lo stesso autore racconta la genesi del libro, che risale al 2005.

Mentre cercava un editore per altri suoi romanzi, iniziò la ricerca per un poliziesco ambientato a Londra durante una pandemia. Al tempo gli scienziati studiavano le eventuali terribili conseguenze che l'aviaria avrebbe scatenato a livello mondiale.

"Iniziai a indagare sul caos che ne sarebbe conseguito, e sulla potenziale, rapida disintegrazione della società per come la conosciamo."

La Londra che descrive è completamente isolata dal resto del mondo, la pandemia ha ucciso migliaia di persone, compreso il primo ministro, alcune zone della città sono chiuse per preservarle dal contagio e gli abitanti hanno licenza di uccidere gli estranei che si avvicinano. Le vie commerciali del centro sono presidiate dall'esercito e negozi e locali hanno le porte inchiodate da assi di legno; nonostante ciò operano durante la notte gli sciacalli e i cecchini sui tetti sparano a qualsiasi cosa si muova.

In questo scenario da film di fantascienza si inserisce la trama del poliziesco: nello scavo di un cantiere per erigere un nuovo ospedale a tempi di record, viene ritrovata una borsa che contiene le ossa di un bambino. È incaricato dell'indagine MacNeil, al suo ultimo giorno di lavoro in polizia.

Per dare un nome al mandante e al sicario il poliziotto, in un giorno e una notte di indagini serrate e sopralluoghi non autorizzati, riesce a scoprire cosa c'è dietro la morte della bambina e di tutti i testimoni di un crimine orrendo, di cui l'omicidio della piccola è soltanto uno degli effetti.

Si tratta di un thriller serratissimo, con una trama ben costruita e personaggi molto convincenti in tutte le loro sfaccettature. Nel mezzo del racconto dell'azione, May usa dei flashback per raccontare episodi della vita dei personaggi che li hanno portati ad essere quello che sono. Nessun personaggio è stereotipato, come spesso avviene.

La scena più potente, da inferno dantesco, è quella della zona lungo il Tamigi dove enormi fornaci bruciano ininterrottamente i cadaveri dei morti a causa della pandemia.

"La scena in basso era quasi inimmaginabile. Migliaia di corpi nudi giacevano su pallet di legno che si estendevano a perdita d'occhio, accatastati in tre strati, come manichini in una fabbrica di bambole, con braccia e gambe intrecciate, stranamente luminosi, a malapena umani. La foschia causata dalla fumigazione oscurava i dettagli, come la nebbia sul Tamigi nelle mattine d'autunno. Macabre figure in tute protettive blu, senza volto dietro i visori in plastica fumè, si muovevano fra quegli arabeschi al rallentatore, come astronauti sulla luna, tirando giù cadaveri dai furgoni e impilandoli su ancora altri pallet. Una delle fornaci pareva riservata a vestiti e biancheria da letto. Muletti colossali infilavano i corpi nelle altre tre, ancora sui pallet. Nei pochi istati in cui gli sportelli della fornace rimanevano aperti, il fuoco all'interno proiettava una luce arancione vaporosa sulla foschia della fumigazione; poi i giganteschi sportelli di ghisa si richiudevano, provocando vibrazioni che si sentivano in tutto l'edificio come scosse sismiche." (p. 119).