Nero come la notte è il romanzo vincitore del premio Scerbanenco 2020. 

Un potente noir che trae spunto e trama da un'analisi socio-politica del nord est, secondo un filone iniziato da Carlotto con la serie dei romanzi dell'Alligatore e poi seguita da molti scrittori. Avoledo è fra quelli. 

Senza la metodologia dell'inchiesta, approfondita in vari aspetti, il noir sociale non esisterebbe.

Forse si avvicina all'hard boiled all'americana: le scazzottate e le torture non mancano e il personaggio principale, l'ex poliziotto  Sergio Stokar, è il prototipo dello sradicato da tutto, un "maledetto". 

Raccolto in fin di vita davanti a le Zattere e curato da un misterioso medico,  Sergio Stokar è incaricato dai componenti del consiglio delle Zattere di indagare sull'omicidio di una prostituta dell'est e poi sulla scomparsa di ragazze mediorientali. 

Nei lunghi mesi in cui vive alle Zattere, insieme di edifici all'estrema periferia della città  non identificata, destinati a diventare un centro direzionale e poi abbandonati e occupati da centinaia di immigrati di ogni colore e nazionalità, Stokar abbandona a poco a poco le idee razzisti e neonazisti di cui era imbevuto, sia nella vita civile che nella professione di poliziotto e non senza tormenti interiori un altro se stesso.

L'amico giornalista che lo aiuta nell' indagine, cacciato dal giornale perché inviso al sindaco, è un personaggio che sa tenere la schiena dritta e ne paga le conseguenze. 

Trama complessa, formata da tanti pezzi di un puzzle che a poco a poco vanno a posto mettendo in luce non solo le contraddizioni economiche e sociali di una città ma anche quelle interiori dei protagonisti. 

Al termine della complessa indagine e di una lunga catena di morti, Stokar "patteggia" un esilio e una relativa  tranquillità, non si sa quanto duratura.

"Sono arrivato alle Zattere nudo e spezzato, come Lars, e come chissà quanti prima di me. Siamo arrivati qui come un tempo i perseguitati dall'uomo cercavano rifugio bussando ai portoni delle cattedrali…Un rifugio, un riparo contro la malvagità umana, contro la pioggia del male dei giorni, che a volte è una tempesta che travolge tutto e tutti, ma più spesso è una pioggerella sottile, appena percettibile ma che t'inzuppa fino alle ossa.

Altre volte il male è leggero come una nebbia, impalpabile, quasi invisibile, ma capace di infiltrare e corrrodere tutto, facendoti marcire dentro.

Nel corso della mia vita ho visto il male impadronirsi del mondo. A volte l'ho combattuto, come potevo. Ma altre volte l'ho favorito. L'ho persino invocato.

Nessuno è davvero innnocente."(pp. 469,470).

Nel romanzo di Tullio Avoledo veramente nessuno è innocente, tutti hanno un passato torbido e in qualche caso un presente segnato dal Male. 

Non è innocente Sergio Stokar, poliziotto espulso dalla Polizia per intemperanze e comportamento troppo "trasgressivo", non lo sono i membri del consiglio delle Zattere, un triumvirato (mi si passi il termine non esatto secondo un'analisi sul linguaggio di genere) composto da un africano, un siriano e una rumena con alle spalle una vita da dannati della terra. Non lo è la classe dirigente di una città del nordest, un tempo florida per la rapida industrializzazione e oggi fantasma di se stessa, con i suoi edifici vuoti, i negozi chiusi e la desolante periferia abitata dagli "invisibili" che le ronde civiche di una politica di destra cercano di ricacciare nelle loro tane.