“Un cuore sleale”, secondo romanzo di Giancarlo De Cataldo edito da Einaudi con il Pubblico Ministero Manrico Spinori, conferma l’ottima scelta dell’autore di fare di questo personaggio e della sua squadra al femminile di poliziotte che lo assistono nelle indagini, i protagonisti di una serie di romanzi che ci auguriamo lunga, vista la presa che, non solo la trama, ma anche i personaggi stessi, compresi quelli di contorno a ogni livello, e l’atmosfera e l’ambiente, anzi i diversi ambienti, da quello della procura alla nobile residenza del PM, hanno sul lettore. Come nelle serie migliori, comprese quelle classiche, letta una di queste storie viene subito voglia di leggerne un’altra, tanti sono gli elementi che concorrono ad affezionarci soprattutto ai personaggi. Il PM Spinori, già conte Manrico Leopoldo Costante Severo Fruttuoso Spinori della Rocca dei conti di Albis e Santa Gioconda, con la sua passione per l’opera lirica, i cui canovacci e personaggi spesso trova pertinenti al caso criminale che sta seguendo; la simpatica romanità dell’ispettora Deborah Cianchetti, la cui presenza, con il suo carattere e le sue battute, aumenta l’empatia del romanzo con il lettore; la madre di lui, malata di ludopatia che prosciuga i portafogli e la complicità affettuosa del fedele maggiordomo che la copre dagli eventuali rimproveri del figlio; il conflitto con il procuratore capo Gaspare Melchiorre, più preoccupato dalle reazioni della politica e dell’opinione pubblica che del rispetto pedissequo della legge; così come i rapporti colpevoli, per l’inevitabile distacco, con il figlio Alex, aspirante musicista che vive con la sua ex moglie e la difficile relazione con la fidanzata da poco più di un mese conosciuta a teatro, mentre si profila all’orizzonte un interesse per la sostituta del medico legale, professor Gatteschi, ora in ferie in Patagonia, sono tutti elementi che arricchiscono l’opera, dando a ogni trama uno spessore a cui ogni volta si aggiungono nuovi motivi di interesse con l’ingresso di nuovi personaggi e situazioni.
Nello specifico di “Un cuore sleale” questi nuovi motivi sono dettati, in gran parte, anche se non sono i soli, dall’ingresso dei personaggi implicati nel caso che il Pm Spinori segue, quello dell’omicidio di un facoltoso imprenditore romano Ademaro Proietti, testaccino, cioè abitante di un antico quanto tipico quartiere romano, che ha fatto fortuna nella vita, tanto da influire anche nella vita della capitale, compresi alcuni centri di potere, tra cui la stampa, che la famiglia, i quattro figli, due coppie di gemelli, di cui una sola femmina, e l’amministratrice delegata ed ex amante del Proietti, Flavia Biondi, e la prestigiosa avvocata Schroeder, metteranno in campo per difendersi dall’accusa di essere uno di loro l’assassino, sempre che la morte di Proietti di omicidio si tratti e non di un imprevedibile incidente, come la difesa e il medico legale di parte lasciano pesantemente intendere.
Il dubbio a riguardo è anche di Manrico Spinori, favorito solo del fatto che la morte, accidente o omicidio che sia, fosse accaduto a bordo del suo mega yacht Chiwi uscito al largo delle coste laziali l’8 dicembre per una battuta di pesca che Ademaro era solito fare tradizionalmente in quella data con i tre figli maschi. Alla sera i quattro, secondo le testimonianze raccolte dagli stessi e dai membri dell’equipaggio, si sono ritrovati a cenare, finendo poi per bisbocciare svuotando bottiglie di vino e whisky finale. La tesi diffusa da tutti è che il vecchio imprenditore, alticcio, sporgendosi sul parapetto dello yacht sia poi scivolato in mare, sbattendo la testa su qualcosa per poi annegare. Ma ciò che insospettisce Spinori è proprio la natura di quella botta in testa, la cui analisi da parte della medico legale, dottoressa Dubois, che sostituisce il professor Gatteschi, lascia intravedere un colpo alla testa sferrato al Proietti da qualcuno, da rintracciare naturalmente tra coloro che si trovavano a bordo, per cui è da escludere altri possibili esecutori.
Le forze in campo, ben orchestrate dalla sapiente tessitura narrativa di De Cataldo, si misurano pertanto intorno a questo dubbio: da una parte la famiglia Proietti, con tutta la loro influenza presso i media e legale, dall’altra Manrico Spinori e la sua squadra di assistenti che puntano alla verità, nel mezzo il procuratore capo Melchiorre che, dato il clamore intorno all’omicidio, l’aspra reazione da parte della stampa nei confronti di una magistratura ritenuta di facile imputabilità per il gusto della condanna, preferirebbe che il PM facesse propria la tesi dell’incidente, e lo sarà al punto da togliergli l’indagine. Emerge, in tutto questo gioco delle parti, comunque, l’aleatorietà della giustizia che, per quanto codificata (anche se tra molta confusione nella pletora di leggi e nella stesura delle stesse spesso contraddittorie, e a rischio del cittadino innocente, emesse dallo Stato italiano negli anni), finisce per dipendere dalla natura e carattere del magistrato, spesso anche dal momento, che la rappresenta. De Cataldo, che, accanto a quella dello scrittore, svolge da sempre la professione di giudice, e quindi ben conosce l’ambiente delle procure, così come, beninteso, anche le relazioni che si instaurano tra tutti i suoi componenti a ogni livello, avvocati compresi, così come i comportamenti, caratteri, tic, reazioni più diffuse anche nei cittadini che hanno il caso di avere a che farci, offre a riguardo un quadro ben delineato, autentico, preciso nei suoi chiaroscuri, con pregi e difetti che aiutano a riflettere su quanto le istituzioni, il loro funzionamento, siano suscettibili a elementi estranei al dettato che giustifica, rendendo necessaria, la loro esistenza. Per fortuna, nel romanzo di De Cataldo non mancano anche momenti di ironia e piacevole comicità, descritti con un gusto tutto romano acquisito dall’autore pugliese ormai da anni nella capitale, che strappano il sorriso, contribuendo a dare altro lievito al romanzo del quale attendiamo impazienti il prossimo titolo.
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