Nonostante il coronavirus, anche quest’anno il Far East Film è riuscito a catapultarci in Oriente in un’inedita versione online. Dal 26 giugno al 4 luglio 2020, gli organizzatori del FEFF 22 hanno permesso alle spettatrici e gli spettatori di assistere alla proiezione dei 46 titoli previsti nel programma su una piattaforma online messa a disposizione grazie alla collaborazione con MyMovies. Ecco il film premiati quest’anno: il Gelso d’oro è stato assegnato al cinese Better Days di Derek Tsang; Gelso d’argento a Victim(s) di Layla Zhuqing Ji; Gelso di Cristallo a I Weirdo di Liao Ming-yi; Gelso Bianco per l’opera prima ad Exit di Lee Sang-geun; Menzione Speciale a Beast Clawing at Straws di Kim Young-hoon; Gelso Viola (il premio assegnato da MyMovies) al già citato I Weirdo; Gelso Nero (il premio assegnato dagli accreditati Black Dragon, quest’anno ridenominati Shogun) a Better Days.
Sicuramente, in quest’edizione mancavano l’atmosfera vivace del Teatro Nuovo Giovanni da Udine e il clima da cinema d’essai del Visionario, ma si aveva il notevole vantaggio di poter scegliere di vedere i film in calendario come e quando si preferiva. Ad eccezione di 4 film a proiezione unica, infatti, tutte le pellicole proposte sono rimaste a disposizione del pubblico per tutta la durata del festival ̶̶ una comodità non da poco, visto che consentiva di poter vedere i film in ordine e in quantità del tutto casuale, potendo anche praticare il binge watching aggirando così il consueto limite di quattro film al giorno a cui gli abbonamenti più gettonati del FEFF in edizione fisica (ad esempio il Red Panda, qui ridenominato Golden Samurai) costringono a sottostare da qualche anno a questa parte, formula studiata per evitare code interminabili all’ingresso di ciascuna proiezione. La libertà di poter gestire sia l’ordine dei film da vedere che il luogo in cui vederli si è rivelata davvero preziosa e per quanto mi riguarda ha reso questa edizione del FEFF particolarmente efficace, soprattutto perché i due fattori sopra citati mi hanno permesso di vedere molti più film di quanti non riuscissi a vedere gli altri anni (almeno il triplo) e, cosa non secondaria, di poter avere una visuale molto più ampia della lineup non solo in termini di quantità ma anche di provenienza geografica. Ad esempio, sono riuscita a vedere film filippini, indonesiani e malesi, di solito proposti in orari o giorni infelici e per questo da me inesorabilmente saltati gli altri anni. Sono molto grata al FEFF 22 per aver permesso, a me come agli altri 2999 accreditati dell’edizione ventidue, di vedere bellissimi film come il filippino Edward di Thop Nazareno e il malese Soul (Roh) di Emir Ezwan (entrambi recensiti qui su Thriller Magazine), ma anche di scoprire opere divertenti seppure imperfette come l’indonesiano Gundala di Joko Anwar, che ci dimostra come anche in Oriente si possa fare un dignitoso film su un supereroe (con tanto di villain che parla in giavanese).
Ma sicuramente l’aspetto più interessante dell’edizione 22 del FEFF è stato la notevole presenza di registe donne, spesso con film a tematica femminista o con uno sguardo consapevolmente differente sul reale, come la già citata Layla Zhuqing Ji di Victim(s), cinese ma con un film girato in Malaysia; le coreane Kim Kyong-hee, regista di Lucky Chan-sil, e Kim Do-young, autrice di Kim Ji-young, born 1982; o la giapponese Ohku Akiko, autrice My Sweet Grappa Remedies (tutti recensiti qui su Thriller Magazine). Molto deludente in tal senso la nipponica Yuki Tanada, che dopo due film incisivi come One Million Yen Girl (il suo esordio, presentato al FEFF 11) e Round Trip Heart (in concorso al FEFF 18), entrambi con protagoniste donne niente affatto succubi o stereotipate, ci propina Romance Doll, insulsa storia d’amore con punto di vista maschile che, neanche a dirlo, ribadisce come la donna in Giappone (e purtroppo non solo lì) possa essere vista soltanto come oggetto inanimato e tutt’al più come ispirazione per “la bambola perfetta”. Ci sono già gli uomini a dire queste schifezze, c’è bisogno che ci si metta anche una donna a farlo, con il puerile pretesto che il carattere di “bambola” unisce “forma” a “persona” e quindi a “qualcosa” (!) dotato di un’anima? Non credo proprio!
Un po’ anonimi, invece, se si eccettuano i due Gelsi d’Oro e d’argento, i film in lingua cinese presenti nel calendario, forse perché a detta degli stessi organizzatori il 2019 non è stato un anno particolarmente felice per il cinema, soprattutto nella mainland. Lo stesso I Weirdo, opera taiwanese inspiegabilmente pluripremiata dalla giuria, era in realtà più un esercizio di stile che un film vero e proprio, con un finale pensato a tavolino che ribalta le carte in tavola cercando di risollevare una trama davvero esile. Il film è stato scelto fin da subito come una delle punte di diamante dell’edizione 22, soprattutto perché girato con un I phone e incentrato su una tematica casualmente a noi molto vicina ̶ il disturbo ossessivo-compulsivo, che porta in questo caso i due protagonisti a indossare sempre… mascherina protettiva e guanti! Quasi fosse un film sul Covid19. Questo, unito al fatto che gli organizzatori l’avessero collocato in proiezione unica obbligatoria in orario serale (alle 21), forse per suscitare una maggiore aspettativa nel pubblico, ha finito per ammantare un filmetto senza pretese di un’aura d’imperdibilità un po’ esagerata, visto che la storia e la recitazione non erano certo grandiosi.
Vera punta di diamante del FEFF 22, a mio avviso, è stato invece il film-testamento di Nobuhiko Obayashi, Labyrinth of Cinema, un vero capolavoro (recensito qui su Thriller Magazine) che insieme ai film tutti al femminile sopra citati sicuramente rappresenta uno degli highlight dell’edizione online del festival. Per concludere, non si può non citare Suk Suk di Ray Yeung, dolente storia d’amore gay in una Hong Kong che si scopre luogo dotato di una storia e non più semplice “place of transit”.
Nel complesso, la versione online del FEFF non ha fatto perdere fascino al cinema del Far East né ha reso più povero il pubblico in mancanza di un luogo fisico dove incontrare altri appassionati di film orientali. Anzi, per quel che mi riguarda una delle note solitamente dolenti del FEFF in versione fisica è proprio il pubblico, negli ultimi anni diventato davvero troppo becero e volgare nel suo voler ridurre anche i film più seri e drammatici a pretesto per risate sguaiate, inopportune e francamente spesso anche apertamente razziste, per cui almeno per me l’edizione online ha permesso di arginare questo fastidioso problema. In ogni caso, ritengo (e con me anche tante altre persone, a giudicare dai commenti lasciati sulla piattaforma di My Movies e al suo moderatore, Gianluca) che in futuro dare a chi non può rimanere per tutta la durata del festival la possibilità di vedere alcuni film da casa online su una piattaforma potrebbe essere uno strumento efficace per rendere il FEFF ancora più visibile e popolare, e il cinema orientale più presente nell’immaginario collettivo, visto che sulle altre piattaforme (Disney e Netflix in primis) tiranneggiano i film americani, creando l’illusione che quelli siano gli unici che valga la pena vedere e conoscere, perché è lì che si colloca il centro del mondo, sia a livello politico che a livello culturale. Un FEFF in grado di raggiungere tutte e tutti in maniera capillare, anche attraverso una piattaforma online saprà secondo me diventare ancora più grande e importante, non da ultimo, proponendo film rigorosamente con gli audio in originale (È sempre bellissimo sentire le attrici e gli attori parlare la loro lingua, basta con l’onnipresenza dell’italiano! Svecchiamo queste abitudini provinciali!) per ribadire come il mondo non vada visto da una prospettiva di centro opposto a periferia, ma che vada colto attraverso una visione pluricentrica e rizomatica, aperta e sempre nuova.
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