Gordiano Lupi: editore con il Foglio Letterario, ma anche traduttore di romanzi cubani, appassionato di horror e trash cui hai dedicato alcune monografie, polemista con il piccolo caso del pamphlet "Quasi quasi faccio anch'io un corso di scrittura" e ora autore di "Serial killer italiani". Riconosci un filo conduttore tra tutte queste sfaccettature o è solo disordine da personalità multipla? :-)
Il filo conduttore è un grande amore per la lettura, per la scrittura e per il cinema. D'altra parte l'argomento serial killer è connaturato al cinema di genere italiano, alla narrativa e al cinema horror americano. Sono un autore molto eclettico, questo è vero, ma non lo ritengo un difetto. Avere molti interessi fa vivere meglio, penso. L'amore per Cuba è nato da dieci anni a questa parte, da quando sono andato sull'isola per la prima volta, là ho cominciato ad appassionarmi alla cultura e alla letteratura cubana. Scrivere di Cuba e su Cuba lo ritengo un mio dovere morale per pagare con quella terra un debito di riconoscenza: Cuba è stata molto importante in un periodo nero della mia vita. Dobbiamo controbattere tutte le menzogne che ci raccontano sul regime cubano e per questo motivo la mia Casa Editrice ha aperto una collana di autori cubani dissidenti.
Veniamo al tuo libro. Com'è nata l'idea di questa catalogazione?
L'idea di Serial killer italiani nasce dalla Casa Editrice Olimpia che cercava una persona adatta a scrivere un testo originale su tale argomento. Hanno individuato me proprio in virtù dei miei interessi narrativi in campo orrorifico e del mistero, per la mia passione cinematografica e — dicono loro — per la chiarezza dello stile. Ho accettato con entusiasmo l'incarico perchè da tempo meditavo di fare una simile ricerca, sulla scorta dei ricordi dei miei vecchi esami universitari di medicina legale e di antropologia criminale. Credo che Serial killer italiani sarà il primo libro di una lunga serie di testi su argomenti di cronaca nera e infatti stiamo già preparando con il criminologo fiorentino Piero Donati un libro sulla scena del crimine.
Qui su ThrillerMagazine notiamo che, da Hannibal Lecter in poi, la "moda" dei serial killer nella narrativa non si è ancora placata, e anzi assistiamo a una crescente invasione di omicidi seriali in romanzi, film e telefilm. Secondo te perché al pubblico piacciono?
Il serial killer rispecchia le paure della realtà e l'orrore del quotidiano. Il lettore di romanzi e lo spettatore di cinema horror ama questa figura di assassino che soffre di squilibri della personalità e che agisce in modo mostruoso. Un killer come Hannibal è affascinante, ma lo erano anche i serial killer di Dario Argento di film come Profondo Rosso, Opera, Thrauma, La sindrome di Stendhal... Per non parlare dei serial killer eccessivi di Joe D'Amato (Rosso sangue e Antropophagus)... Certo, si tratta di un fascino perverso che però esorcizza una minaccia che è vera e concreta fuori dalla porta di casa.
L'analisi dei casi che hai raccolto passa spesso attraverso la citazione di film e serie tv che hanno rielaborato il caso stesso. La finzione narrativa riesce a rendere l'orrore della cronaca o gli assassini reali sono comunque più spaventosi delle loro controparti fittizie?
Come ti ho detto sono un grande appassionato di cinema di genere anni Settanta, soprattutto italiano, per questo motivo per me è stato inevitabile l'approccio filmico.
Il serial killer l'ho conosciuto prima nei film di Fulci, Argento e Massaccesi e poi nella realtà.
Ti garantisco che l'orrore della cronaca supera di gran lunga la più sfrenata delle fantasie. Killer come Verzeni, Cianciulli, Chiatti, Erica e Omar, Maso, Carretta sono talmente spietati da non sembrare veri.
C'è qualche elemento che ti sembra caratterizzare i serial killer italiani rispetto ai loro omologhi statunitensi?
Il serial killer statunitense vive e colpisce soprattutto nelle grandi città, cresce nelle degradate periferie urbane, se compie un eccidio di massa lo fa sul posto di lavoro, a scuola o sulla pubblica via. Il serial killer italiano vive e colpisce in provincia, se puta caso agisce in una città è quasi sempre una persona che ha passato la sua adolescenza nella provincia più depressa. In Italia sono frequenti i killer in famiglia che sterminano il gruppo familiare (tutto o in parte), mentre negli Stati Uniti sono più rari. Alla base di tutto questo ci sono motivi storici e culturali che sarebbe lungo spiegare in questa sede.
Nella trattazione hai incluso anche realtà che tecnicamente esulano dalla definizione di serial killer: Unabomber, la Uno Bianca, le Bestie di Satana. Come mai?
E' vero che Unabomber esula dalla definizione classica di serial killer, ma solo perchè non ha ucciso nessuno. Il modus operandi è lo stesso del serial killer: ripetitivo e casuale su vittime che non conosce. E alla base del suo agire ci sono di sicuro disturbi psicopatologici e tare affettive. La Uno Bianca e le Bestie di Satana invece secondo me sono serial killer a tutti gli effetti, soltanto che sono esempi di omicidi seriali di gruppo, commessi da bande o da sette assassine.
Si dice che uno dei serial killer di cui parli ti abbia scritto una lettera. E' vero?
Non è proprio così. Antonio Cianci, il novello Jessie James, mi ha fatto scrivere da una sua amica con cui è in corrispondenza per chiedere il mio indirizzo. Pare che non condividesse alcune cose che ho scritto e che volesse parlarne con me. Io ho dato l'indirizzo della casa editrice per ricevere la sua lettera, ma al momento non ho ancora avuto sue notizie.
Si esce dalla lettura di "Serial killer italiani" con più di un brivido lungo la schiena. Vale anche per te che l'hai scritto?
Sì, vale anche per me. Ci sono serial killer come Luigi Chiatti che mi hanno fatto star male davvero. Simone Cantaridi, un family killer di Piombino che ha sterminato moglie, figlia di 4 anni e sorella, per poi far saltare in aria il palazzo dove viveva e suicidarsi (ma non c'è riuscito), mi ha fatto soffrire ancora più dei serial killer del libro. Di lui credo che mi occuperò in un prossimo lavoro.
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