Dopo la Guida al cinema di spionaggio e la Guida al Cinema Noir, torno ad incontrare Stefano Di Marino in occasione dell'uscita di una sua nuova guida tematica: Guida al cinema di arti marziali, sempre per Odoya.

Prima però un ricordo personale. Sono infatti passati esattamente vent'anni da quel giorno in cui, curiosando tra gli scaffali della libreria del mio quartiere, incontrai un saggio unico nel suo genere, che continua ad essere unico ancora oggi.

All'epoca era facile trovare libri su Bruce Lee e addirittura uno o al massimo due di questi libri citavano l'esistenza di un qualcosa di fumoso, chiamato "cinema di arti marziali", ma solo riferito ad Hong Kong. Nessun autore italiano sembrava essere a conoscenza di un cinema marziale di produzione occidentale.

Quel giorno di vent'anni fa mi imbattei in un libro della Sperling & Kupfer intitolato Bruce & Brandon Lee: il cinema del kung fu, che al di là del titolo si impegnava a dare una panoramica vasta sul cinema marziale di ogni Paese: credo fosse l'unico libro in lingua italiana – ma credo in qualsiasi lingua – a citare attori marziali come Shô Kosugi e Mark Dacascos, ampiamente ignoti al di fuori delle cerchie di appassionati.

Ho letto ed amato profondamente quel saggio, scritto da un autore… di nome Stephen Gunn.

Conservo ancora gelosamente quel libro e solo anni dopo scoprii che l'autore era un "italiano sotto copertura", di nome Stefano Di Marino, e che una sterminata conoscenza e passione per il cinema marziale era solo un aspetto della sua ancor più potente passione per le arti marziali in ogni loro forma.

È per me una grande emozione ritrovare un tuo saggio marziale in libreria dopo tanti anni: che effetto ti ha fatto tornare a scrivere di questo genere?

Come ho detto più volte, la cultura marziale in tutti i suoi aspetti (formativo, spettacolare, sportivo) fa parte integrante della mia vita. Anche se oggi mi alleno di meno e con metodologie da "vecchietto", è rimasta sempre con me. Ho accolto con grande piacere l’iniziativa di Marco de Simoni, editore di Odoya, di pubblicare una versione rivista e aggiornata (un libro nuovo in realtà) di Dragons Forever. Guida al cinema di arti marziali fa il paio con Corpo a corpo (dbooks.it), che l’anno scorso mi ha permesso di pubblicare gli studi di una vita sulla storia delle discipline di combattimento in Oriente e Occidente.

Dopo anni in cui sembrava aver chiuso le porte al genere, l'Italia sta distribuendo molti prodotti marziali di varia qualità: secondo te possiamo dirci ottimisti e considerare ancora vivo e vegeto questo genere anche nel nostro Paese?

Francamente non lo so. La situazione delle palestre non mi sembra molto rosea, almeno in città dove un tempo in ogni quartiere c’erano almeno un paio di palestre quasi esclusivamente marziali. Nelle periferie mi dicono amici istruttori che va un po’ meglio. Si potrebbe ragionare sul fatto che in periferia ci sono ancora ragazzi e ragazze disposti a sudare e magari lasciare lo smartphone spento per un’oretta. Ma non mi spingo sin là. Direi che un certo interesse c’è ancora, almeno sulla parte professionistica e sportiva delle MMA e di altre discipline. E naturalmente lo spettacolo marziale, i film, sono ancora piuttosto seguiti, benché da una nicchia che però vede tutto.

Nell'Introduzione racconti di quando sei entrato per la prima volta in palestra, portando negli occhi e nel cuore le imprese dei tuoi eroi filmici. Pensi che oggi, circondati come siamo da eroi con superpoteri, sia ancora possibile per un giovane ripetere quella tua esperienza?

Senza dubbio. Le arti marziali richiedono sforzi, e questo vale oggi come ieri, ma regalano moltissime soddisfazioni a chi continua a seguire la disciplina. È forse uno dei pochi ambiti in cui un giovane può fare qualcosa di fisico senza eccessivi rischi e sperimentare, magari solo a livello di fantasia, l’Avventura vera. Di certo regala emozioni vere e non virtuali. Davanti a un videogame siamo tutti campioni, ma vuoi mettere la soddisfazione di mettere a segno un vero colpo con un vero avversario?

Ricordo che anni fa nei social hai presentato una foto in cui una stanza di casa tua letteralmente esplodeva di film, tra VHS e DVD: immagino che ad oggi la tua collezione action-marziale sia sensibilmente lievitata…

Non me ne parlare… casa mia è un tempio della cultura popolare e di conseguenza anche di quella marziale. Fortunatamente i DVD occupano meno spazio. Ho conservato però tutte le VHS originali inglesi e di Hong Kong perché molte non sono passate ai nuovi supporti e il buon vecchio VCR è l’unico modo per vedere ancora certi film.

Puoi parlarci delle nuove tendenze del cinema marziale?

Direi che ci sono diversi filoni. Quello più interessante è quello indonesiano, thailandese che punta più sul realismo e sulla capacità degli attori di mettere in scena combattimento spettacolari e originali senza l’uso di wire work e trucchi se non una grande cura nelle riprese.

Poi Hong Kong ha ripreso a produrre un gran numero di film marziali incentrati sul Kung Fu, in particolare le biopic di Ip Man hanno portato al successo il Wing Chun che è una tecnica ravvicinata senza calci o quasi. Armata e disarmata, fornisce sempre ottime performance. Tra i titoli che recentemente ho apprezzato di più Master Z: Ip Man Legacy (2018) e The Final Master (2015), che contiene una delle più belle sequenze di combattimento armato degli ultimi anni. Purtroppo sono film che si possono reperire solo sul mercato internazionale.

C'è un combattimento in un film asiatico che ti è rimasto nel cuore? E uno invece in un film occidentale?

Sono tantissimi. Di sicuro ricordo un paio di duelli di Donnie Yen e Sammo Hung in SPL (2005) e la sequenza finale di Drunken Master II (1994) con Jackie Chan.

Tra gli occidentali, be’ Jean-Claude Van Damme resta insuperabile in tutta la sequenza finale di Senza esclusione di colpi! (1988).

Donnie Yen contro Sammo Hung in "SPL" (2005)
Donnie Yen contro Sammo Hung in "SPL" (2005)
Nel saggio ho ritrovato la foto del monumento di Bruce Lee che hai scattato ad Hong Kong: che sensazione ti ha dato calcare i luoghi visti così tante volte nel cinema marziale?

Fu davvero un’emozione nel 2006 trovare la statua di Bruce sulla Promenade di Kowloon, ma anche tutta una serie di memorabilia al Peak che riguardavano Jackie e gli eroi del cinema marziale. Sino a pochi anni prima il cinema di Hong Kong non aveva molta memoria di sé. Pensa che non c’erano quasi copie restaurate dei film classici. Poi la Celestial Pictures fece un ottimo lavoro di restauro da copie dei collezionisti.

Le atmosfere del cinema marziale sono state importanti anche per la tua attività di romanziere. Ti ricordi di qualche combattimento di Chance Renard in cui hai maggiormente citato qualche scontro marziale visto al cinema?

Non una in particolare. Di solito tendo a mettere le cose che in quel momento mi colpiscono di più. Considerando che il Professionista fisicamente non può essere come Bruce Lee o Van Damme e si muove sempre in ambiti ristretti, oggi le cose che più mi influenzano sono quelle del cinema indonesiano. Iko Uwais, per capirci. Raid 1 e Raid 2 Berandal sono fantastici.

Però sulla pagina scritta puoi mettere un decimo di quello che si vede sullo schermo. Devi dare l’idea del combattimento. Certe azioni sono sin troppo rapide sulla pellicola. Sulla pagina risulterebbero incomprensibili.

A proposito del Professionista, è ancora in edicola il nuovo volume antologico che raccoglie "Spionaggio a Teheran" e "Dossier Yaponchik": cosa puoi dirci di questi tuoi due romanzi?

Il numero 24 del "Professionista Story" segna una data importante. Sono 24 anni che il personaggio è in edicola. Un bel successo.

Spionaggio a Teheran è un inedito ambientato all’epoca di Dossier Yaponchick, che invece è una avventura classica. Come sempre trai due romanzi si può avere una panoramica completa delle atmosfere e dei temi della serie.

De Vecchi sta per presentare un corposo saggio dal titolo "Corso di Karate", che hai scritto insieme a Roberto Ghetti. Possiamo dire che la tua passione per le arti marziali, che siano al cinema o in palestra, è più viva che mai?

Direi proprio di sì. Quello scritto con Roberto è un libro veramente piacevole. Lo scrivemmo vent’anni fa con l’idea di fornire una guida tecnica (le immagini e le tecniche erano affidate a giovani atleti trai quali il figlio del maestro Ragno) interstile, moderno. E oggi mi sembra ancora un testo valido.

Puoi anticiparci qualcosa dei tuoi progetti futuri? A quando un nuovo Professionista inedito?

Come al solito gli inediti sono concentrati tra l’estate e Natale. A luglio uscirà Matrioska che è un classico dello spionaggio (con molta azione) ambientato tra la Libia e i Balcani, giusto per tenersi sempre al passo con la cronaca.

Poi seguirà una storia di interesse in questo periodo. Io sono El Gringo, come si deduce dal titolo, è una storia di narcos ambientata prevalentemente in Messico.

A fine anno grosse notizie per i marzialisti. Arriva Ninja Mission e qui mi sembra che ci sia poco da aggiungere. Se non che ritroverete alcuni personaggi, buoni o cattivi, che hanno fatto la storia della serie.

Altri progetti?

Con dbooks.it ho avuto la grande soddisfazione di pubblicare il primo di una serie di romanzi western che sono sempre stati la mia passione. Sia in cartaceo che in eBook, Gunfighter: Uomini violenti è una sorta di Professionista nel West. Molto classico ma anche pieno d’azione. E sto per cominciare una nuova avventura delle Brigate del Tigre con il bisnonno di Chance Renard, Stéphane, Il profumo mortale della Dama Rossa.

~

Ringrazio Stefano Di Marino per la gentile disponibilità e ricordo la sua Pagina autore Amazon (anche come Stephen Gunn).