Bruno agitò la busta con i soldi davanti agli occhi arrossati di Cocchi poi tornò a infilarla nella giacca. Il malavitoso si fece coraggio con un’altra sorsata poi si alzò. “Andiamo via di qui, non è sicuro.”
“Certo, ma prima vorrei che tu mi dicessi almeno qualcosa… sai come garanzia…”
“Cazzo, Bruno… vabbe’, Dragan s’è inserito nel giro qui a Milano come un brutto accidente. Ha fatto un accordo con quelli della Sacra Corona per il controllo delle ragazze e certi altri traffici. In città sono arrivati i suoi soldati.”
“Ma, tu, lo sai dov’è?” domandò Bruno.
Cocchi stava sulle spine. Si tormentò i baffi come se volesse strapparsi i peli per l’agitazione. Lo sguardo vagò senza una direzione definita poi assentì con un sospiro. “Di preciso no, so come prendere i contatti giusti per arrivarci. Ma mi devi portare fuori di qui prima.”
Bruno decise che era venuto il momento di mantenere almeno in parte la promessa. Quel caseggiato metteva angoscia anche a lui. Con la destra sotto la giacca aprì la porta. Nel corridoio il neon ammiccava creando un alternarsi di ombra e luce poco incoraggiante. “Sbrighiamoci, scendiamo per le scale, lì siamo coperti.”
Cocchi non aspettava altro. Sgusciò nel corridoio riservando uno sguardo diffidente all’illuminazione che, di colpo, aveva cominciato a fare i capricci. Anche lui era pronto a impugnare la pistola. Si avviò verso il disimpegno dell’ascensore. Là c’era una porta che si affacciava sulla scala. Una risata, passi, voci lontane, qualche piano di sotto. Bruno fece per fermare Cocchi, voleva ispezionare la zona ma non ne ebbe il tempo. Il malavitoso si bloccò di colpo con una bestemmia. La luce intermittente decise di stabilizzarsi, almeno per qualche istante e Bruno vide il sangue sul pavimento e Mercedes accartocciata davanti alla cabina.
Poi dalla zona buia emerse una figura. Il travestito, la parrucca bionda sugli occhi e il serramanico impugnato a scalpello. Lo piantò in gola al malavitoso. Cocchi emise un verso osceno, dalla gola eruttò un getto di sangue.
Bruno si tuffò a terra. Appena in tempo. Il travestito - che all’anagrafe si chiamava Giuliano Serato e a Tirana aveva una solida reputazione di “meccanico” - era venuto preparato alla festa. Mollato il coltello impugnò una Taurus a tamburo. Canna corta ma proiettili esplosivi. Sparò scatenando un tuono fragoroso tra le pareti. L’intonaco della parete volò in mille schegge.
Due. Linda ne era certa, salivano su per la scala, erano a un piano sotto di lei. Non erano prostitute né clienti. Si muovevano in fretta e in pugno tenevano qualcosa che produceva leggere vibrazioni metalliche. “Puxa vida”, pensò lei. Si sporse dalla ringhiera. Niente intimazioni, lei non era lì per fare regali. E neanche gli altri. Per un istante s’incrociarono; lei con la Glock puntata, i due sicari armati di mitragliette MAB. Linda premette il grilletto due volte. Centrò il primo ma l’altro esplose una raffica rabbiosa che la costrinse a ritirarsi al riparo della ringhiera.
Mentre scivolava sul pavimento tra luci e ombre Bruno annaspò cercando di estrarre la Beretta. Serra aveva superato il cadavere di Cocchi e tendeva le braccia come fosse al poligono. Sparò ancora riempiendo l’aria di fumo azzurro. Bruno serrò le mascella. “Basta prendere calci”, pensò. Rotolò sul ventre, puntellò i gomiti e sparò cinque colpi di fila. A quella distanza l’effetto fu devastante. Centrato al bersaglio grosso, Giuliano Serato fu scaraventato indietro con un movimento sconnesso. Questa volta il sangue che imbrattò i muri era il suo.
Un’altra sibilante scarica di pallottole tatuò il muro, rimbalzando tra scintille e fragori sulla ringhiera di metallo. Poi lo “scatto dell’uomo morto”, il sicario aveva terminato il caricatore. Linda riuscì udirlo mentre cercava con frenesia di imbracciare l’arma del compagno morto. Via! Si appoggiò sulla ringhiera e saltò di sotto. Il genere di follia che era abituata a fare sin da ragazzina. Atterrò malamente sui gradini, rischiando si scivolare ma non rimase sull’appoggio per più di un istante. Le suole di gomma si spostarono rapidamente e Linda lasciò partire un calcio circolare. Col collo del piede percosse il sicario alla gola. Udì distintamente il collo che si spezzava. Peggio per lui.
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