Bruno fu raggiunto dalla ragazza davanti all’androne anteriore del palazzo. Brutta gente in giro, sguardi disperati. L’illuminazione si fermava all’atrio. Cartacce ammucchiate alla meglio, macchie di umidità. Una scala saliva a fianco dell’ascensore. Mercedes gli rivolse un sorriso timido. La cabina arrivò sibilando. Ne uscì un travestito di colore alto un metro e ottanta, seno siliconato e sguardo feroce. Bruno sgusciò dentro cercando di ignorare il lezzo misto di profumi a poco prezzo, sudore e sporcizia. Mercedes premette il pulsante del quinto piano. Il segnalatore era in funzione, Bruno si chiese se Linda fosse già dentro. Se lo augurò, quel posto metteva i brividi anche a lui. La lampadina dell’ascensore era fulminata, salirono con la sola illuminazione del quadrante del telefonino di Mercedes. La ragazza sembrava fuori posto, ancora pulita per quel posto. Probabilmente era solo una facciata. La cabina finalmente si fermò. Approdarono a un corridoio pavimentato con quelle vecchie palladiane che Bruno ricordava nelle case di quando era stato ragazzo. Alcune cose cambiano, altre no. Nel corridoio, tuttavia, funzionava il neon. Una serie di porte, miniappartamenti. Lo scatto di una serratura li fece sobbalzare. Un altro travestito con una pessima plastica facciale e capelli color stoppa li incrociò riservando alla ragazza uno sguardo malevolo. Mercedes si strinse nelle spalle. La convivenza condominiale non doveva essere facile. Finalmente arrivarono alla porta in fondo al corridoio. Mercedes non suonò il campanello ma premette un tasto sul cellulare inviando un unico squillo. Pochi attimo dopo il battente si schiuse di qualche centimetro. Bruno riconobbe il viso affilato, i baffi spioventi di Cocchi. Il pappone assentì e lo esortò a entrare.

“Adìos, chico”, belò Mercedes ritraendosi nel corridoio. Era solo un contatto.

Il monolocale era ancora più angoscioso del resto del palazzo. Odore di fumo e aria stantia. Un bagno, un grande letto con un telo di spugna. Intorno al televisore che trasmetteva una cassetta porno senza audio si ammucchiavano pupazzi di peluche, forse messi lì a posta per suggerire una tenerezza inesistente, forse, invece, erano davvero di Mercedes.

“Temevo che non saresti venuto”, bofonchiò Cocchi andando a prendere una bottiglia posata vicino a una pistola, sul comodino. “Ce li hai i soldi?”

“Piacere di ritrovarti, Cocchi… vedo che l’educazione è sempre il tuo forte. Sì, ho i soldi e sono pronto a portarti via di qui, se vuoi… ma tu, hai le informazioni?”

Cocchi ingollò una sorsata di liquore dal collo della bottiglia e assentì. Nei suoi occhi una luce disperata.

L’ascensore non arrivava. Mercedes si mordicchiò il labbro, nervosa. Tutta quella storia non le piaceva. Aveva accettato solo perché a Cocchi non si poteva dire di no, ma aveva l’impressione che dietro a tutte quelle precauzioni, appuntamenti e frasi di riconoscimento ci fosse un pericolo. Sentiva puzza di regolamenti di conti nella mala e di storie di quel tipo finite nel sangue ne aveva già viste troppe al suo paese. L’Italia le piaceva, malgrado tutto, ma non voleva essere coinvolta in qualche vendetta. Lo sapeva bene come andavano certe storie…

“Hai già finito, bambina?” Il travestito biondo le apparve di fronte all’improvviso, con la voce roca fortemente accentata. Era alto più di Mercedes di almeno dieci centimetri e, al riflesso del neon l’espressione appariva ancora più brutale.

“Io… sì, ma…” avrebbe voluto rispondere che non erano fatti di quel maricòn, che lei nessuno la controllava ma non ne ebbe né la forza né il tempo. Il travestito la spinse con violenza nell’angolo buio di fronte agli ascensori, stringendole le dita nodose intorno alla gola. “Da chi l’hai portato?”

Mercedes annaspò, travolta dal terrore. Non impiegò molto a capire di non aver scelta. “Cocchi… doveva incontrare Cocchi…”- balbettò. Uno scatto. Il travestito non perse un istante. Le affondò il serramanico nel fegato rigirando la lama, senza curarsi dal fiotto di sangue nero che gli schizzava addosso. Ritrasse la lama mentre la prostituta scivolava a terra con un rantolo. Il suo assassino aveva già estratto il cellulare richiamando un numero in memoria. “È qui”, disse appena ebbe la linea.

Il segnalatore indicava che Bruno era al quinto piano. Linda salì per la scala che correva dal cortile interno toccando i ballatoi delle case di ringhiera. Sembrava un percorso di guerra, di certo nessuno si curava di fare le pulizie o eliminare i rifiuti. Meglio così, Linda scivolava da un’ombra all’altra, la Glock in pugno in presa bassa. Occhi e orecchie tesi. Se lo sentiva che qualcosa sarebbe andato storto.