Con il commissario Ventura…
Ha sessant’anni. Ha perso la moglie e perde la figlia. Il commissario Ventura è solo. Fumo (sigari), alcol, un cane, la Volvo per spostarsi e un pianoforte a fargli compagnia. Davanti allo specchio vede “un uomo con un paio di occhi piccoli e tristi incorniciati dal metallo dei suoi occhiali. Pantaloni “sgualciti”, giacca “rattrappita”, scarpe “slabbrate” e il personaggio è compiuto. Non ha tempo da perdere. C’è un morto strozzato sepolto sotto la sabbia del lago di Albano che lo attende. Segni di rossetto addosso e un rosario particolare, molto particolare. Più precisamente Eamon McCormac, originario di Belfast. Un seminario si trova proprio a Castel Gandolfo, sul lato delle Ville Pontificie, ovvero il Seminario Apostolico d’Irlanda. Da dove il tizio era sparito da due giorni.
Ci sono tutti in questa storia. Non manca nessuno. Voglio dire come personaggi caratteristici di un thriller: il medico legale, i sottoposti, i superiori, quelli superiori ai superiori, il cronista della nera, la giornalista del Tg regionale, perfino la bella di fronte che si spoglia (ormai un classico anche questo). E lui il duro, il testardo, lo “sceriffo” che deve vedersela con gli altri e con se stesso.
La storia spalanca davanti al lettore il mondo della prostituzione maschile tra “fruste, morsetti, apribocca, anelli fallici, collari e vibratori.” Un altro giovane morto strozzato e il caso si fa più complesso. ll nostro Ventura è preso da inevitabili dubbi ed assilli perché, al di là del mondo della prostituzione maschile, c’è forse qualche collegamento, addirittura, con il terrorismo in Irlanda…
Caso complesso e pericoloso, molto pericoloso soprattutto quando c’è di mezzo la Chiesa e il suo potere, quando sembra che il caso sia risolto con l’arresto del presunto assassino che lo accusa, addirittura, di violenza. Tutti contro di lui, costretto ad abbandonare le indagini, consegnare la pistola e il tesserino. E’ solo. Solo. A fargli ogni tanto compagnia una bella ragazza che lavorava nel Convitto, i ricordi dolorosi della figlia e della moglie, qualche dialogo con don Pablo, la musica classica, i notturni di Chopin e il cane Crimbo. Sa di avere poco tempo per una indagine personale “e di poter confidare solamente in se stesso e nella propria forza interiore.”
Spunti sulla città, scontri polizia-manifestanti, la fine della politica, il potere nelle mani della rete (si dice), alla Cantina Paradiso per qualche bella mangiata (squisita la Pasta alla Norma), fremiti stuzzicarelli che riemergono improvvisi per scuotere istinti sopiti. Complica l’ambaradan una Natura micidiale: il freddo boia, il cielo livido, il vento, l’acqua, il fulmine che cade sul lago, perfino il Vulcano Laziale che sembra preparare “Un’aria d’apocalisse, di tragedia”.
C’è proprio tutto in questa storia, tutto quello che si trova abitualmente in altri millanta racconti similari. Compresa la qualità discreta della scrittura e l’andamento fluido della narrazione. Quasi un copia e incolla. Niente di nuovo sotto il sole.
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