Da molto lontano
Con Michele Balistreri…
Da molto lontano di Roberto Costantini, Marsilio 2018.
Me lo sono fatto regalare per Natale da mio figlio Riccardo per non ricevere il solito portafoglio (ne ho già tre o quattro). Parlare estesamente di un libro di ben 597 (cinquecento novantasette!) pagine sarebbe per me, che sono del Toro, una fatica disumana. Cerco di sintetizzare attraverso alcuni punti. Partiamo dal primo, ovvero dal commissario Balistreri che opera a Roma. Invecchiando è cambiato. Non è più come l’abbiamo conosciuto nelle storie precedenti dove veniva fuori un essere forte, energico, scorbutico, votato al sesso, fuori dalle righe. Si ritrova spento, disilluso, malinconico, preda di certi fantasmi del passato (il padre vivo che voleva morto e la madre morta che voleva viva) che continuamente lo tormentano. Lo vedremo anche in una lotta continua con la memoria che lo tradisce. Casa alla Garbatella dove vive da solo anche se ha una compagna e una figlia, legge Nietzsche, Henry Miller, Milan Kundera, via in giro con il Duetto, Gitanes e Tavor suoi fedeli compagni di viaggio nella vita. In disparte lascia agli altri i compiti più rognosi. A Capuzzo con la “sua ormai inseparabile valigetta grigia” e il suo computer, all’ispettore Locatelli “guascone, razzista e mezzo matto” con l’assistente Silvana Beldon, ovvero “la Bella e la Bestia”.
Il racconto si svolge lungo due fasce temporali: nell’estate del 1990 durante le fasi del Campionato del mondo di calcio e l’inizio della seconda dal 25 dicembre 2017 espresse in prima e terza persona con alternati flash back. Tutto parte dalla sparizione del figlio di un noto riccone industriale che verrà ritrovato barbaramente ucciso insieme ad una ragazza sottomessa ad un boss della camorra. Il Nostro sembra seguire svogliatamente le indagini. Davanti a lui sfilerà, lungo il percorso, la variegata fauna dell’italico suolo che sembra non cambiare mai: avvocati al soldo dei più ricchi, adepti della camorra, affaristi di ogni genere, ragazze pronte a tutto, sesso, bisesso (mio conio), turpiloquio, scene vomitevoli, corruzione, odio, violenza. Schifo, insomma.
Nella seconda parte è il ritrovamento di due manichini, che riproducono la scena del crimine di trent’anni prima proprio nel palazzo in cui vive il padre del ragazzo ucciso, a riaprire un’indagine mai del tutto conclusa. Questa volta sotto la direzione di Graziano Corvu, ex vice di Balistreri ormai in pensione e l’apporto della giornalista Linda Nardi (figlia del medesimo) che, con un circostanziato articolo, risveglia la memoria di quei fatti. E allora indagine su indagine, momenti di suspense e pericolo anche per Balistreri, accudito con amore dalla moglie, e morti ammazzati.
Plot complesso, intricato, intricatissimo, svolto con un linguaggio fluido e lucido, attraverso capitoletti brevi alternati a spazi più lunghi e frasi in corsivo a mettere in luce sprazzi di canzoni, improvvisi commenti, ricordi e pensieri più profondi. Colpi di scena a ripetizione, citazioni imprescindibili di Sherlock e Watson, ma anche i dieci piccoli indiani della Christie e Poirot che se non ci sono il lettore si incattivisce. A fine lettura una riflessione sulla vita, sui problemi della vecchiaia, sui soliti vincenti e perdenti, su noi stessi, sul bene e sul male che ci circondano. Contagiato dal personaggio un leggero senso di vuoto e di malinconia.
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