Con l'estate arriva la collana stagionale I Classici del Giallo Mondadori ORO, che questo luglio con il numero 8 presenta La legge di Mike Hammer (2016) di Mickey Spillane e Max Allan Collins: giusto in tempo per festeggiare quest'anno i cent'anni dalla nascita del celebre autore hardboiled.
Per la scheda completa dell'antologia, si rimanda al blog-database "Gli Archivi di Uruk".
La trama
Un tossico con un posto riservato sulla sedia elettrica per un omicidio di primo grado. Strano, perché è uno talmente stupido da non essere capace nemmeno di concepirlo, un omicidio di primo grado. Magari è stato incastrato? Anche un Signor Nessuno ha diritto a un briciolo di giustizia, e Mike vuole vederci chiaro. Ma per fare il detective privato devi essere vivo e ultimamente da questo punto di vista non va tanto bene. Prima quella rissa alla fermata della metropolitana, quando per poco non l’hanno spedito sui binari, poi quell’auto che l’ha mancato per un soffio. Ah, e poi c’è stato quel finto rapinatore che ha tentato di accoltellarlo. Mike gli ha spezzato il braccio, ma resta il fatto che qualcuno l’ha preso di mira. E scoprire che un serial killer appena giustiziato se ne va a spasso per le strade come un fantasma non aiuta il suo equilibrio mentale. Già, a New York succedono un sacco di cose brutte. Per fortuna ci pensa lui a metterci una pezza, insieme a una splendida brunetta come Velda, la sua socia e segretaria tutta curve. La vita fa un po’ meno schifo, in questa dannata fogna, finché in giro c’è Mike Hammer.
L'incipit dell'Introduzione
Che questa sia la prima raccolta di racconti di Mike Hammer, e forse l’ultima, potrebbe sorprendere qualche lettore occasionale. Ma i fan del mystery più informati tra di voi sapranno che Mickey Spillane non ha scritto molti racconti che hanno per protagonista il suo famoso investigatore privato, si potrebbe dire quasi nessuno.
Gli unici racconti con Hammer pubblicati durante la vita di Mickey sono The Night I Died e The Duke Alexander. Il primo è apparso nell’antologia "Private Eyes" (Signet, 1998), curata da Mickey e da me, e non era altro che il mio adattamento (benché il mio nome non comparisse) di una sceneggiatura radiofonica mai prodotta risalente agli anni Cinquanta. Il secondo era essenzialmente un trattamento cinematografico di genere comico scritto per Mickey Rooney (un Mike Hammer decisamente improbabile!) e un rifacimento moderno in chiave ironica di uno dei romanzi prediletti di Mickey, Il prigioniero di Zenda di Anthony Hope. Mickey era un grande appassionato dei romanzi di cappa e spada (e avventurosi in generale), tanto che il suo preferito era I tre moschettieri di Dumas; cosa non sorprendente, dato che il finale drammatico di quel libro, con l’esecuzione di una splendida femme fatale, prefigura Ti ucciderò di circa un secolo.
L'incipit del primo racconto
Nel giro di un paio di giorni, Dopey Dilldocks sarebbe morto.
Aveva ucciso a pistolettate un pusher locale perché il tizio aveva passato a Dopey un pacchetto di eroina tagliata così tante volte che non sarebbe stata nemmeno in grado di attutire il dolore di una puntura di spillo. Il pusher se lo meritava. E la società aveva sentenziato che anche Dopey Dilldocks se lo meritava. La giuria si era trovata d’accordo, e il giudice non aveva potuto fare a meno di condannarlo a morte. Dopo che erano state esperite senza successo le solite tattiche dilatorie, e siccome non c’era da aspettarsi che il governatore intervenisse per salvare un tossico da quattro soldi come Dopey dalla sedia elettrica, per quel povero babbeo era giunta l’ora di volare via da questa valle di lacrime.
Nessuno si sarebbe accorto del suo trapasso. Non era altro che un detenuto come tanti, una nullità di un metro e sessantacinque con sette numeri stampati sulla camicia. All’anagrafe il suo vero nome era Donald Dilbert, ma dato che gli piaceva sniffare strisce e strisce di gioiosa polverina bianca, sentendosi poi sempre più stupido e rintronato, gli avevano storpiato e leggermente accorciato il nome in quello di Dopey Dilldocks, un equivalente slang di “rimbambito senza speranza”.
Gli autori
Mickey Spillane (1918-2006), statunitense, inizia a collaborare a riviste di narrativa nel 1935 e negli anni Quaranta diviene sceneggiatore di fumetti. Passato al giallo, raggiunge in breve un immenso successo portando all’estremo elementi dell’hard boiled quali la violenza, il sesso e il disprezzo delle regole. Nel 1983 riceve il Private Eye Writers of America per la carriera. L’investigatore Mike Hammer è il suo personaggio simbolo.
Max Allan Collins (1948), statunitense, è considerato “l’uomo del Rinascimento del mystery” per l’ecletticità della sua produzione, che gli è valsa premi e riconoscimenti prestigiosi. Dagli anni Ottanta collabora con Spillane a diversi progetti. Alla morte dello scrittore ne raccoglie l’eredità letteraria, dedicandosi a completare le storie rimaste incompiute.
Info
La legge di Mike Hammer, di Mickey Spillane e Max Allan Collins (I Classici del Giallo Mondadori ORO n. 8), 224 pagine, euro 6,50 – Traduzione di Mauro Boncompagni
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