Il sequestro e l’uccisione di Aldo Moro restano un mistero di questa repubblica. Intorno a questo efferato delitto di Stato, che è costata la vita per altro anche a cinque uomini della scorta, si sono addensate negli anni tante piste. Opera dei servizi deviati, cioè di organi dello Stato che in disobbedienza agli obblighi istituzionali agivano in nome di forze esterne? Dei servizi dell’Est europeo che fornivano di armi i terroristi? Della CIA che vedeva di malocchio la concretizzazione del compromesso storico, cioè l’alleanza programmatica tra Democrazia Cristiana e Partito Comunista, alla quale lo statista pugliese stava lavorando? Oppure una vittima immolata sull’altare di quelle forze politiche che puntavano a uno stravolgimento della democrazia alimentando lo scontro tra opposti estremismi? L’ombra misteriosa del Grande Vecchio spuntato dal cappello di certa stampa d’allora?
Sta di fatto che ancora oggi certe verità sono ben nascoste, mentre molti, in questi anni hanno cercato di dare una risposta che le sveli.
Antonio Ferrari, giornalista del Corriere della Sera, allora inviato speciale poi corrispondente da importanti capitali d’Europa, all’epoca era uno di quei giornalisti che si occupavano di terrorismo, e per questo tenuto sotto scorta, soprattutto dopo l’omicidio di Walter Tobagi, suo compagno di stanza al quotidiano di via Solferino. Era persona, pertanto, ben addentro al fenomeno, oggetto di minacce e informatissimo sui fatti.
All’inizio del luglio del 1981 fu chiamato da Salvatore Di Paola, diventato il dirigente più alto in grado, dopo l’esautorazione, per la faccenda della P2, di Angelo Rizzoli jr e Bruno Tassan Din dal vertice della casa editrice Rizzoli, proprietaria del Corriere. Di Paola, nella volontà di mandare segnali di pulizia all’interno del marchio, chiese a Ferrari di scrivere “un saggio su questi anni devastanti”, che erano poi i cosiddetti anni di piombo e, appunto, dello scandalo P2. Ferrari accettò e gli fu fatto firmare un contratto che lo obbligava a consegnare il libro entro sei mesi. Il giornalista mantenne il suo impegno. Quello che venne fuori però non fu un saggio, bensì un romanzo intitolato “Il segreto” che, sulla base del materiale sul quale per mestiere Antonio Ferrari aveva lavorato, analizzato, indagato, raccontava il retroscena, è il caso di aggiungere internazionale, visti i soggetti implicati, del sequestro e dell’uccisione di Aldo Moro.
Ebbene, il dattiloscritto arrivò sulla scrivania di Di Paola quindi su quelle del capo della Divisione Libri d’allora, Sergio Pautasso, ma all’autore non perveniva nessuna risposta, nessuna conferma di pubblicazione. Non venne neppure quando a Pautasso seguì Valerio Riva e poi Oreste Del Buono. Ciascuno si trincerava dietro scuse le più diverse. E il tempo passava, tanto da far assumere al silenzio sulla pubblicazione forme quasi angoscianti, anche per certe voci sibilline che arrivarono all’autore, su certi veti che sembravano essere stati lanciati addirittura da Toni Negri, allora a Parigi.
Comunque, tutta la vicenda relativa al dattiloscritto e personale, con molti altri dettagli, è ben raccontata da Ferrari in appendice al romanzo stesso che, finalmente, ha visto oggi la luce. La casa editrice Chiarelettere l’ha infatti pubblicato, sempre con lo stesso titolo “Il segreto”, e ora possiamo trovarlo in libreria.
Ma è davvero così scandaloso quanto emerge dal romanzo, per altro molto avvincente come tutte le spy-stories quale, nella sostanza, esso è anche per il taglio avventuroso impresso dall’autore? I fatti relativi al caso Moro però ci sono tutti. Ferrari ha solo spostato alcuni luoghi della vicenda, che fa ambientare a Milano, ma per il resto molto di quanto egli racconta corrisponde agli elementi emersi dalle indagini e dai documenti, nel pieno rispetto dello spirito, anche politico, del tempo. In più, e qui sta l’elemento che forse all’epoca ha reso impubblicabile il libro, è la rivelazione dei retroscena che stavano dietro al delitto Moro e che avevano a che fare con le alleanze internazionali del nostro Paese, anche se le responsabilità vengono addebitate ad agenti americani e di altre nazionalità che appaiono quasi come dei cani sciolti più che al servizio di un’agenzia di spionaggio (vengono citati apertamente solo i servizi francesi, perché concorsero notevolmente alla salvezza di Moro). Naturalmente, ci guardiamo bene dal rivelare altro da un libro che, già dal titolo, gioca su un segreto. Anche se il lettore non si meraviglierà di scoprire quanto, all’interno dello scacchiere internazionale il nostro Paese si trovi al centro di trame che, ieri come oggi, confermano la debolezza delle nostre istituzioni, sempre divise al proprio interno e perciò manovrabili spesso in nome di inconfessabili interessi di potere, non certo al servizio di ideali.
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