L’ultimo romanzo di Domenico Cacopardo, appena uscito in libreria, “Amori e altri soprusi” come consuetudine per i tipi della Marsilio, rivela, da parte dell’autore siciliano, una svolta nell’approccio alla storia che racconta già emerso nel precedente “Semplici questioni”. Se tutti i romanzi precedenti – fatta eccezione per alcuni usciti con altri marchi editoriali – si richiamano al genere giallo tradizionale, prevalentemente con protagonista il magistrato Italo Agrò, gli ultimi due risultano essere dei noir, cioè romanzi di ambiente e atmosfere morbose e cupe realizzati intorno a dei personaggi che, macchiatisi di delitti o altre infamità, danno vita a storie che non necessariamente si profilano attraverso indagini, detective e quant’altro. Anzi, ne possono essere del tutto prive. Come lo è, appunto, “Amori e altri soprusi”, anche se i personaggi sono professionisti del mondo giudiziario, magistrati e avvocati. Ma questo, credo, per la profonda conoscenza che l’autore, magistrato di Stato per lunghi anni, ha della professione, dell’ambiente, dei caratteri. E non ci va certo tenero.
L’avvio è con un delitto, quello della bella e sensuale Gloria Laguidara, moglie dell’avvocato Sebatiano Bellopede, detto Jano. Al momento i due vivono separati, lui in Sicilia, nella natìa Letojanni, lei a Milano. Dell’omicidio viene subito sospettato il vecchio, anche d’età, amante di Gloria, Michelangelo Curtà, ex presidente della Corte di Cassazione in pensione. Ma Cacopardo non ci accompagna nelle indagini del delitto, alla scoperta dell’assassino, se è lo stesso Curtà ad aver sparato alla donna o il frutto di altre situazioni, bensì dà voce al racconto del neo vedovo Jano che porta alla luce i retroscena di un rapporto, quello con la moglie, costruito tutto su forme di sadismo, quello della donna, che va a letto vogliosa con più uomini possibile, e di masochismo, quello suo, di Jano, che scrive in prima persona. Il quale, e sta qui il succo del menage coniugale, sa che la moglie lo tradisce continuamente, lo sospetta ricavandone delle prove che va cercando, e purtuttavia godendo, ancora quando di lei era un giovane fidanzato, della sofferenza che la moglie gli procura, guardandosi bene dal lasciarla. Anche quando la donna resta incinta e, dalle analisi motivate da problemi genetici, risulta non essere lui il padre del nascituro (che peraltro mai vedrà alla luce proprio per l’esistenza di quei problemi genetici). Il contesto è tanto più torbido e pruriginoso, oltre che imbarazzante, quanto più la mentalità siciliana si fa sentire con i suoi concetti di virilità, di corna, di onore, nutrendosi di voci, pettegolezzi, omertà, che caratterizzano un ambiente, innanzitutto quello di Letojanni, dai quali la coppia, così come altri amanti della donna, compreso il sospettato Curtà, proviene. E poi di altri luoghi – Roma, Viterbo, Padova – nei quali si svolge la storia, ma si potrebbe meglio dire luoghi in cui le relazioni extraconiugali della donna, ma anche dello stesso Jano che metterà addirittura incinta una delle sue amanti diventando padre di un figlio naturale, si compiono.
Tutto il racconto, che in fondo tendeva a sottolineare quella natura di “buddana”, come scrive l’autore con l’uso accorto del dialetto siciliano, si legge con estrema gradevolezza e, anche se avrebbe potuto essere più sintetico, almeno in sede di editing, trova divertimento nel gusto per certe annotazioni che danno macchie di colore alla pagina cogliendo un mondo, luoghi, ristoranti, cibi, eros, idiosincrasie e simpatie culturali, che credo sia proprio della vita dell’autore, dando così all’opera il marchio della propria singolare personalità.
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