i tutti, forse Jean-Christophe Grangé è, al momento, il più grande scrittore di noir. Francese, tradotto in tutto il mondo, è salito alla ribalta dopo il film “I fiumi di porpora” di Kassovitz, con Jean Reno e Vincent Cassel, tratto dal suo omonimo romanzo. In Italia i suoi libri sono pubblicati da Garzanti. L’ultimo è “Il rituale del male”, 751 pagine che si leggono d’un fiato, attraverso le quali si dipana una storia che ha diverse sfaccettature, legate tutte ai suoi personaggi, in particolare la famiglia Morvan, che ne rappresenta il nucleo centrale: il padre Gregoire e il figlio Erwan, due poliziotti molto diversi tra loro, antitetici addirittura, ma entrambi irriducibili. Gli altri Morvan sono la figlia Gaëlle, la quale, aspirante attrice, va a letto con chiunque presume essere influente nel farle fare carriera nel cinema e Loic, uomo d’affari cocainomane, sposato a una ricca ereditiera italiana che gli dà filo da torcere e briga, con l’opposizione del vecchio suocero, per divorziare da lui e non fargli più vedere i due figli. Poi c’è Maggie, la moglie di Gregoire e madre dei tre figli, che appare come una vittima consenziente del marito, da lui picchiata e, ciononostante, sua complice nei lunghi anni di matrimonio.
Una relazione cominciata in Congo, nel Katanga, tanti anni prima, dove Gregoire era andato per dare la caccia a un serial killer chiamato l’Uomo Chiodo per il gusto crudelissimo che aveva di piantare chiodi nel corpo delle proprie vittime dopo averne prelevato gli organi. Un rito macabro eseguito per lottare contro gli stregoni che credeva gli avessero fatto le fatture. “Così ha cominciato a trasformare le donne in minkondi. In genere le statuette sono intagliate nel legno. Ognuna ospita uno spirito, una carica magica. Per attivarla bisogna piantarle dentro un chiodo o un coccio di vetro”. L’uomo chiodo invece lo faceva direttamente sui viventi.
Bene, il vecchio Morvan credeva di averlo preso e definitivamente assicurato alla giustizia, tanto da aver costruito la sua fama, quasi eroica, sulla soluzione di questo caso. Invece, sembra che l’Uomo Chiodo sia rispuntato fuori dopo tanti anni e in Francia, non più in Congo stavolta. Ma è sempre lui o un altro che vuole ripeterne le gesta? Oppure è uno che prende spunto da quella lontana faccenda, che ce l’ha con l’ingombrante e pericoloso Gregoire Morvan per altri motivi e vuole rovinarlo? Anche perché le prime vittime sono in qualche modo a lui legate, mentre parallelamente accadono altre cose strane, soprattutto nel mondo degli affari dove una società d’azioni fondata in Congo da Gregoire e nella quale il figlio Loic ha degli interessi sembra essere scalata da qualcuno di misterioso. E anche la figlia Gaëlle, pur sempre pedinata dagli scagnozzi del padre, sembra essere scomparsa nel nulla.
Non è pertanto un caso che il vecchio Gregoire vuole che a svolgere le indagini sia il figlio Erwan, magari scavalcando le legittime competenze dei poliziotti sul territorio dove gli orrendi delitti sono stati commessi. Il primo addirittura dentro una riservatissima base aerea, dominata dalla figura di un ammiraglio in pensione ma tuttora attivo e potente, che si scoprirà però avere un passato in comune con Gregoire in Congo. All’inizio sembra che la vittima, un cadetto pilota, sia morto per una vicenda di nonnismo, violenze mai venute alla ribalta, perpetrate dai militari più anziani, istigati dall’ammiraglio, per temprare i cadetti, farli veri soldati pronti a tutto e, se inadatti a sopportarle, inutilmente arruolati. A riguardo c’è una descrizione d’ambiente magistrale che va oltre la motivazione narrativa, oltre lo snodo del giallo che la morte violenta del cadetto rappresenta. Grangè è bravissimo. Così come lo è nel delineare la psicologia dei personaggi. Di tutti. Personaggi vivi, carnali, che ci siedono accanto mentre leggiamo il libro. E ne abbiamo orrore o pietà o paura, tanto ne avvertiamo la pericolosità. Come per Gregoire che, nella sua lunga vita di poliziotto temuto da tutti, ha costruito il potere su chiunque potesse mettergli i bastoni tra le ruote o far male alla sua famiglia. “Non ho amici” dice infatti a un certo momento “Né relazioni. Ho soltanto dossier”.
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