Tutta la chiave del rebus è in quest’occhio…
“Il padre di Mary Hume si alzò da dietro la scrivania, con la luce sul viso. Aveva appena chiuso una scacchiera e riposto le pedine nella loro scatola. Come Jim Answell entrò, il padrone di casa spostò la scacchiera di lato”. Mi piace iniziare da questa citazione degli scacchi di cui sono innamorato (per chi vuole conoscere qualcosa su Re e Regine nella letteratura poliziesca, insieme ad altre cosucce, qui http://soloscacchi.altervista.org/?author=66) per introdurre l’argomento. Jim Answell è un giovanotto innamorato e fidanzato di Mary Hume. E’ stato invitato a conoscere il suo suocero Avory praticamente “in una camera blindata con finestre sbarrate da imposte solide come l’acciaio”. Sopra il caminetto tre frecce a triangolo, ricordo di vecchi trofei. Un whisky, evidentemente drogato, e Jim perde i sensi, ritrovando, al risveglio, il possibile suocero trafitto al cuore da una delle frecce. Spariti i bicchieri in cui avevano bevuto e la bottiglia sembra ancora intatta. Sulla freccia chiare impronte digitali. Le sue, come verrà stabilito in seguito. Ma lui, giura, non ha ucciso nessuno (anche se ha una pistola con sé) e c’è bisogno, allora, di un grande difensore che lo salvi dalla forca: l’avvocato Henry Merrivale. Lo troviamo seduto ai banchi della difesa all’inizio del processo “coi gomiti appoggiati alla scrivania. La vecchia toga lo faceva sembrare ancora più enorme e la parrucca, male appoggiata sul capo, gli conferiva un aspetto ridicolo”. Così ce lo presenta Ken Blake, il narratore della vicenda e collaboratore del suddetto, insieme alla moglie Evelyn (una specie di Watson, insomma).
Henry Merrivale, il Vecchio, figura imponente in tutti i sensi che troveremo al centro della vicenda con il suo modo, quasi animalesco, di esprimersi: grugnisce, tuona, ruggisce con uno sguardo bellicoso e maligno. Oppure, se non gli aprono subito la porta di casa, la tempesta di pugni e grida e se una macchina ha l’ardire di sfiorare il paraurti della sua, comincia ad imprecare “con una veemenza ed una incredibile varietà di termini” . Preso un po’ in giro dal nostro Carter Dickson che ne fa una figura grottesca e umoristica allo stesso tempo. Per esempio, quando la sua toga si impiglia, probabilmente in un tacco delle sue stesse scarpe, “si lacerò con un rumore così simile a una pernacchia che, per un terribile secondo, pensai che lui l’avesse fatta veramente”, riporta Ken Blake. Il Vecchio, dicevo, fornito di un intuito diabolico quando butta lì con nonchalance, tra una chiacchierata e l’altra, la soluzione dell’intricato problema sul classico delitto in una stanza chiusa e sigillata dall’interno (nessuno avrebbe potuto entrarci), irrisolvibile attraverso i metodi letti e conosciuti nei romanzi polizieschi conosciuti dall’ispettore Mottram e dall’imputato stesso.
Soluzione, dice lui senza aggiungere altro, dovuta all’occhio di Giuda che c’è in ogni casa, dato che “l’assassino è entrato e uscito attraverso l’occhio di Giuda”. E noi lettori, siamo lì, insieme ai due collaboratori, ad almanaccare invano su quest’occhio (che cavolo avrà voluto dire?).
La difesa sarà lunga e difficile. Duro il confronto con l’accusa impersonata dal procuratore generale Walter Storm che svolge benissimo il suo lavoro (durante il controinterrogatorio “Fa tutto a pezzi come se smontasse un orologio”). Ancor più duro quando una lettera sembra inchiodare l’imputato e Jim stesso si autoaccusa!
Qualche spunto in qua e là: cose che ci dovrebbero essere e che spariscono come un vestito, un timbro, una metà della penna azzurra attaccata alla freccia assassina che non è stata trovata durante la perquisizione (strano), e poi foto osé, ricatto, scambio di persona, pazzia. Ma, soprattutto, chi è l’assassino e come ha fatto ad uccidere il padre di Mary?.
Splendido quadro dell’iter giudiziario inglese che non ammette moralismi (lo dichiara lo stesso giudice Balmy Rankin, “ometto paffuto”, dagli “occhi piccoli e stretti”) di fronte ad una situazione un po’ scabrosa per quei tempi. Scrittura di classe, grande abilità nel depistarci, tocchi sicuri a creare personaggi vivi e concreti che rimangono impressi nella mente, spruzzi di ironia sparsi anche su qualche signora che assiste al processo,
Non chiedetemi se tutto torna, se ogni piccolo particolare, se ogni pur minimo tassello combacia perfettamente con l’altro. Il grande Carter Dickson, alias John Dickson Carr, mi ha preso per mano e mi ha sballottato, sicuro, dove ha voluto. Facendomi girare la testa. Superba traduzione di Mauro Boncompagni.
Per I racconti del Giallo, Una piccola bara di cartone di Luca Di Gialleonardo.
Una scatola abbandonata vicino alla guardiola di un palazzo. Dentro un neonato, un feto di circa otto mesi di etnia sudamericana. Per il portiere Francesco, che l’ha trovato, deve essere partorito proprio nel palazzo stesso. Ma da chi? Squarcio di simpatica vita familiare con il nostro portiere a caccia del mistero.
Carino.
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