A quando risale la scoperta della figura di Atto? Che cosa vi ha affascinato di questo personaggio storico?
Innanzitutto che per secoli fosse noto per la sua attività musicale e di cantante castrato, ma quasi sconosciuto come agente diplomatico segreto. Che è poi stata la maggior parte, e la vera matrice, della vita. Era un’ingiustizia che andava corretta: Atto Melani meritava il suo posto nella storia dell’Europa di ancien régime. Atto è stato testimone, anzi coinvolto direttamente in molti eventi cruciali, e abbiamo ricostruito il suo ruolo grazie a documenti storici da noi scoperti. Ad esempio la sua funzione di mediatore nella relazione amorosa clandestina tra Maria Mancini, la celebre nipote di Mazzarino, e il Re Sole. Un amore che avrebbe potuto cambiare la storia di Francia, e anzi di tutto il continente. Oppure il suo ruolo di spia presso la corte pontificia a beneficio dei Francesi, un’esperienza che Atto ha poi condensato in un delizioso trattato su come inquinare e influenzare la politica vaticana, compresa l’elezione dei Papi. Infine la sua figura “doppia” di castrato, che partecipa sia della natura femminile che di quella maschile: era il protagonista ideale per una coppia di autori composta da marito e moglie: ognuno di noi due può rispecchiarsi tanto nella sua arguzia femminile quanto nell’istinto politico tutto maschile.
Come avete acquisito l’enorme documentazione necessaria per scrivere romanzi così poderosi, anche come numero di pagine?
Ogni romanzo scaturisce da lunghe ricerche in archivi e biblioteche, ma non perché abbiamo la vocazione dei topi di biblioteca, bensì perché scavare davvero nella Storia significa non accontentarsi della vulgata prevalente, e quindi seguire una propria linea di ricerca autonoma. Una strada mai battuta in precedenza richiede tempo e fatica! In cambio, scopriremo che un ministro che i manuali scolastici dipingono come corrotto era finito in carcere per coprire colpe di altri. Oppure che qualche grande rivoluzionario era solo un burattino nelle mani dei potenti. O ancora, che un Papa considerato santo era in realtà un ipocrita opportunista, mentre un altro che passa per vizioso e crudele è stato vittima di un’abile diffamazione volta a far morire sul nascere il suo progetto di riforma della Chiesa. Per contrastare i luoghi comuni della storiografia però bisogna chiedere di volta in volta l’assistenza e le perizie di esperti (grafologi, biblisti, medici etc.). Tutte cose che impegnano risorse, e in cui non tutti sono disposti a impegnarsi.
Come procedete nella stesura dei romanzi?
Partiamo individuando un luogo, una data e un episodio storico che hanno condizionato la Storia in modo innaturale e inatteso, un Wendepunkt che ha modificato in modo irreversibile il corso degli eventi, e cerchiamo di scoprire se era dovuto ad un fattore “coperto”. Ad esempio un documento falsificato, un interesse economico segreto, oppure un personaggio che svolgeva negli eventi un ruolo inimmaginabile. Il romanzo in questo senso non è più parassita della Storia, bensì al suo servizio: la libertà del romanziere consente di formulare, sebbene in forma narrativa, ipotesi che integrano o perfino abbattono lo storytelling tradizionale. Il romanzo diventa così uno strumento più potente della saggistica, perché può avere uguale rigore (se vengono citati i documenti e la letteratura scientifica su cui ci si appoggia) e maggiore libertà di manovra. Se poi l’indagine si muove su un piano multidisciplinare, sfruttando esame grafologico e paleografico, indagine medica e perizia criminologica, si può fornire al lettore – senza nulla perdere in entertainement – qualcosa di serio, che resta nel tempo. Possiamo intrattenere, comunicare entusiasmo, divertire e perfino strappare risate, ma sempre condividendo col lettore quelle scoperte che ci hanno appassionato, stupito e talvolta indignato.
Ci racconta la curiosa vicenda del vostro primo romanzo “Imprimatur”?
Sulla pubblicazione di Imprimatur con Mondadori nel 2002, sulla sparizione del romanzo dalle librerie italiane e sul nostro conseguente ritiro dalla scena editoriale del nostro paese sono già stati scritti fiumi d’inchiostro, non è il caso di ripetere tutto per l’ennesima volta. Chi è interessato però può leggere il libro di Simone Berni Il caso Imprimatur (Edizioni Biblohaus), disponibile anche in ebook, che racconta in modo efficace l’intera vicenda.
A cosa si deve questo “ostracismo” degli editori italiani?
Veramente non l’abbiamo mai ben capito neppure noi. Ci siamo ritrovati coinvolti a nostra insaputa in cose molto più grandi di noi, un po’ come il personaggio di Forrest Gump nel film omonimo. Quando rompemmo con la Mondadori, dopo che il nostro romanzo d'esordio era sparito dalle librerie pur entrato al 4° posto in classifica sul Corriere della Sera, pensavamo che sarebbe stato facile trovare un altro editore. Invece uno dei maggiori agenti italiani ce lo disse chiaro: avete osato ribellarvi alla Mondadori e ora siete come appestati. Insomma, il solito fascismo italiota… Mandammo tutti e tutto a quel paese, decisi a ricominciare da capo oltrefrontiera.
La saga di Atto Melani è terminata?
Adesso, dopo l’uscita in questi giorni di Dissimulatio, il quinto volume della serie, mancano solo gli ultimi due, Unicum e Opus. Ci stiamo lavorando. Nel frattempo pertanto uscirà una trilogia che abbiamo scritto una decina di anni fa, anche questa incentrata su un personaggio realmente esistito: Giangiacomo Caprotti detto Salaì, allievo e figlio adottivo di Leonardo da Vinci.
L’ultimo vostro romanzo in ordine di scrittura, “Malaparte: morte come me” è dedicato, appunto, allo scrittore toscano Curzio Malaparte. Cosa vi ha letterariamente attirato di lui?
In primo luogo la sua celebre morte, giunta dopo una lunga agonia in una clinica romana nell’estate del 1957, dopo essere passato dal fascismo all’adesione al PCI. Dopo decenni di scorrerie, successi e sconfitte, glorie e umiliazioni, orribili prepotenze e atti di coraggio, Malaparte si è chiesto: che cosa ho davvero combinato in vita mia? Si è rivolto insomma alla propria coscienza. La Chiesa disse che si era convertito al cattolicesimo, i comunisti che era morto comunista. Non lo sapremo mai, ma l’importante è che Malaparte sul letto di morte, quello da cui dovremo passare tutti, si sia guardato allo specchio. Da questo prende spunto Morte Come Me. Poi c’è naturalmente la sua vita avventurosa: due guerre mondiali passate al fronte, donne a profusione, duelli a sciabola, il ruolo di maverick della letteratura fascista che non teme di irritare il gran capo Mussolini, l’amicizia con ebrei (Moravia) e antifascisti (Gobetti), la clamorosa villa a Capri, i servizi resi allo spionaggio americano, lo stile da dandy, la vita insomma di un vero enfant terrible del XX secolo, tutta da raccontare e ancor più interessante di quella di Hemingway o D’Annunzio.
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