«I hurt myself today / to see if I still feel»: la Fox vince facile rilasciando un trailer dove il vecchio Johnny Cash (nell'ultimo anno della sua vita) canta Hurt dei Nine Inch Nails.
"Mi sono ferito, oggi, per vedere se provassi ancora qualcosa", e poi "Tutti quelli che ho conosciuto alla fine sono andati via". Il testo del 1994, cantato da Cash nel 2002, si sposa perfettamente con le immagini del vecchio Logan che assiste al crollo del suo universo: niente più mutanti, niente più eroi, l'unica speranza… è una ragazzina problematica.
Con questa musica nel cuore, con un trailer perfetto negli occhi, quando nella redazione di ThrillerMagazine è arrivato l'invito alla proiezione stampa in anteprima romana di Logan… non ho saputo davvero resistere.
La 20th Century Fox stavolta subappalta la produzione: dopo l'insuccesso di Origini (2009) e L'immortale (2013) non sembra voler rischiare troppo con il nostro ghiottone preferito.
Regista che sbaglia non si cambia, così torna James Mangold alla regia e alla co-sceneggiatura, in questa aiutato dal bravo Scott Frank (di cui ho già parlato nel precedente titolo) e Michael Green, autore televisivo che ha lavorato per il cinema solo in occasione di Lanterna Verde (2011): trattandosi di uno dei peggiori film dell'universo, questo non depone affatto a suo favore.
Presentato il 17 febbraio 2017 al Festival Internazionale del Cinema di Berlino e proiettato in contemporanea in Italia (in lingua originale), già dal 22 febbraio successivo viene presentata un'anteprima stampa con doppiaggio italiano… e, come dicevo, l'Etrusco era lì!
Inizia il film… ed è subito chiaro che non è lo stesso John Mangold de L'immortale: dev'essere passato per le mani di qualche scienziato e ne è uscito potenziato: dalla regia alla sceneggiatura niente assomiglia a quella ragazzinata del secondo film!
Logan (il sempre in parte Hugh Jackman, si dice per l'ultima volta in questo ruolo) entra in scena di prepotenza e cattiveria, ed è subito chiaro che qui non ce ne frega niente di divieti, PG e cacchi vari: nei primi trenta secondi di Logan c'è più violenza che nell'intero film precedente.
Il vecchio Logan si aggira nel mondo trent'anni nel futuro, siamo nel 2047 e ormai tutto l'universo Marvel che conoscevamo non c'è più. Non sappiamo cosa sia successo, non è chiaro perché delle centinaia di mutanti sia sparita traccia, né perché non ne nascano più, ma ormai c'è solo il vecchio e malconcio Logan e l'ancor più vecchio e l'ancor più malconcio professor Xavier (un incredibilmente bravo Patrick Stewart, davvero da applauso). I due vivono nascosti nel New Mexico, accuditi un po' controvoglia dall'albino Calibano, già visto in X-Men: Apocalisse ma stavolta interpretato dal bravo Stephen Merchant: attore saltuario ma soprattutto scrittore comico.
La vita grama ed amara dei due è interrotta dall'arrivo del poco amichevole Donald Pierce (interpretato da Boyd Holbrook, attore che presto rivedremo in The Predator di Shane Black), cyborg nato nel 1980 dalla penna di Chris Claremont e a quanto ho capito da sempre a caccia di mutanti. Però non è interessato al catorcio umano che un tempo fu Wolverine: vuole mettere le mani su un "progetto" sfuggito al suo laboratorio. Uno degli esperimenti portati avanti dal bieco dottor Zander Rice (interpretato dal noto caratterista Richard E. Grant), la cui vita ed opera è legata alla storia a fumetti del 2005 che racconta la nascita di X-23: Innocenza perduta.
Perché ormai l'hanno capito tutti: X-23 è fuggita dal laboratorio e Pierce, con un esercito di nerboruti e tatuati omaccioni, deve riportarla indietro.
Come era facile immaginare, X-23 qui è tutt'altra cosa rispetto alla citata storia che ne ha narrato le origini. Si chiama Laura ed è uno degli esperimenti di Rice, ma soprattutto è interpretata da una strepitosissima Dafne Keen, che dopo la sua partecipazione alla serie TV The Refugees approda al cinema: è di una bravura bruciante, e il suo ruolo è tutt'altro che facile.
Fregandosene di tutte le più sacre regole di Hollywood, Mangold stupisce mettendo in piedi scene di una violenza inaspettata con una bambina protagonista, con sangue e trinciamenti truculenti che non si sono visti in nessuno dei precedenti film di supereroi. (Punisher escluso, ovviamente.) La Laura di Dafne Keen è una vera e propria Weapon-X, è letale e inesorabile e l'espressione inquietante dell'attrice è perfetta per il ruolo.
Peccato che in alcune scene in cui la bambina "vola", l'uso di effetti speciali computerizzati non è perfetto e il movimento è tutt'altro che fluido, ma è solo un'annotazione da puntiglioso rompiscatole: le scene d'azione del film sono spettacolari e tutte da gustare.
Il film è amaro e crepuscolare, quindi si vince facile: chi è che può rimanere insensibile davanti ad un personaggio amareggiato che ha da una parte una figura paterna novantenne che è più amareggiato di lui e dall'altra una figlia (va be', clone, ma siamo lì) che dire problematica è dire poco? In fondo è la storia di una famiglia disfunzionale che cerca un equilibrio impossibile.
Il viaggio catartico, i conti con il passato, la fede in un futuro molto incerto e nebuloso, ogni elemento classico viene trattato al momento giusto e con uno stile che mai avrei pensato di trovare in un film diretto da Mangold, quello che nel precedente episodio aveva fatto scontrare Wolverine con il roboscemone di adamantio…
Non posso essere più preciso per non svelare un gustosissimo e ispirato twist di sceneggiatura, ma c'è anche la tematica metanarrativa della realtà vista attraverso la finzione: come puoi credere ad un futuro che sembra esistere solo su carta? Semplice: seguendo quella carta…
La sceneggiatura di Logan non è perfetta né inattaccabile, alcuni punti sono lasciati in sospeso, forse per dare un voluto senso di spaesamento o per strizzare d'occhio agli esperti di fumetti, altri elementi sembrano aggiunte "allunga-brodo" sebbene perfettamente giustificate, ma tutto questo è perfettamente dosato da un prodotto altamente riuscito: non avrà azzeccato tutti i passaggi della ricetta, ma Mangold tira fuori un pasto completo e nutriente. E di questi tempi è una perla rara!
Purtroppo l'unica scena in cui ti vien voglia di prenderti la faccia tra le mani è nel finale, che non rivelo anche se non è impossibile da immaginare: la scelta finale l'ho trovata davvero discutibile e onestamente era plausibile aspettarsi molto di più.
Ma non sia visto come un difetto. Mangold ha saputo generare grande emozione nei punti meno inaspettati della trama, quindi il suo risultato era bello che ottenuto quando – secondo me – inciampa e tira fuori una scena che poteva concepire in mille altri modi, tutti migliori.
In conclusione, Logan è un film eccezionale perché è un film adulto. Non è un film "impegnato", non è un film "per adulti" in quel senso, ma rispetto alle super-tutine o ai robottoni di adamantio è davvero tutt'altro stile. È un film pieno d'amarezza e di rimpianto, e avere Johnny Cash nei titoli di coda è una mossa da mille punti. È un film ricco di violenza cattiva, molto diversa dalla violenza da fumetti dei titoli precedenti. Insomma, è un film per un pubblico adulto che ama belle storie su schermo, senza tutine o sentimenti zuccherosi, senza continuity o universi paralleli: è una storia che strizza l'occhio ai fumetti ma che sta in piedi con le proprie gambe.
Ah, e malgrado siamo rimasti tutti immobili durante i titoli di coda… non c'è alcuna scena finale: a dimostrazione che questo non è un film di supereroi…
Ultime due parole. Una per il mitico Daniel Bernhardt che riesce a farsi inquadrare fra gli uomini di Pierce: ormai è solo uno stuntman in grandi film ma mi piace ricordare quando negli anni Novanta ha avuto il suo momento di gloria con una bella sequenza di film marziali, iniziata con Colpi proibiti 2 (1996).
Un'ultima parola per X-23, che davvero incanta e colpisce per la sua perfezione in questo film: in un futuro ipotetico film in solitaria, è facile che sarà interpretata dalla solita ragazzina rachitica che rovinerà completamente il personaggio. E sarà davvero un gran peccato…
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