Con una serie di mirabili personaggi “nascosti”…
Ogni volta che mi accingo a presentare una raccolta di racconti non so da che parte incominciare. Scrivere succintamente di tutti, impossibile. Sceglierne solo alcuni, limitativo. Perciò di solito inizio e vado avanti secondo l’estro del momento. Come in questo caso.
Il titolo stesso ci fa capire che non c’è scampo. Voglio dire per il povero assassino. Che si tratti di una camera, di un bagno, di uno studio, di una cella, di uno scompartimento in un treno, dentro una macchina…,insomma di uno spazio perfettamente chiuso da tutte le parti, c’è sempre qualche bell’ingegno che ti butta all’aria in quattro e quattr’otto tutto l’ambaradan costruito con infinita pazienza dall’omicida. Un fatto impossibile che si risolve in una dannata, lucida, semplice esposizione chiarificatrice. Neanche fossero tutti degli Sherlock Holmes quelli preposti alle indagini. A dir la verità uno c’è che gli assomiglia parecchio, anche se sotto mentite spoglie. Così come molti altri a rappresentare, secondo intento esplicito dell’autore, celebrità acquisite della letteratura poliziesca, partendo, per esempio, da quello che non smuove il culo dalla poltrona nemmeno se viene il terremoto, per finire, la butto lì, a quell’altro tutto impomatato e impettito come un dandy. Al lettore il gusto di scoprirli.
Stanze chiuse, dicevo, luoghi chiusi o, comunque, con spazio circoscritto, dove il malcapitato passa la sua ultima ora (forse anche meno). I mezzi per farlo fuori non mancano, ce n’è per tutti i gusti, dai classici veleno, pistola, coltello etc…fino alla spada che ti si infila nel deretano mentre sei tranquillo a ponzare sull’apposito vaso (giuro). Delitti e delitti da far rizzare i capelli (per chi ce l’ha), e se non sono delitti saranno suicidi che l’uomo talvolta non ne può più anche di se stesso. Suicidi, però, che sembrano omicidi, magari sempre nella stessa stanza sigillata a far bollire le cellule grigie del nostro Sherlock di turno, pardon, in questo caso, del nostro Poirot. E se non sono suicidi saranno disgrazie che anche il Fato vuole avere la sua parte funesta. Comunque, omicidi, suicidi o disgrazie, c’è sempre qualcosa, una pur minima traccia, un pur minimo, imperscrutabile indizio, che passerebbe inosservato ad un tizio qualunque dotato di una superba intelligenza, che inchioda il colpevole, compreso il Fato, naturalmente. Impossibile farla franca e il lettore, spesso, sono sicuro, fa un tifo tremendo perché non venga scoperto. Del tutto inutile. Qui, a sbrogliare l’incredibile, inestricabile matassa, non abbiamo il più bravo della classe ma il genio fuori dal comune (in contrasto con il solito pigrone mentale) che, magari, si avvale pure di un Tacito o della Bibbia per risolvere il diabolico crimine (tanto per dirne una).
Luoghi chiusi, dicevo, per ogni dove e in qualsiasi tempo. Siamo scaraventati, per esempio, nell’anno di grazia 1273 fra domenicani e inquisitore, oppure nel 1628 a Siviglia, in India, in Giappone, ad Alessandria, a Roma, nell’Irlanda “profonda e superstiziosa”, in Sicilia, durante il fascismo e chi più ne ha più ne metta. Luoghi e tempi diversi, anzi, diversissimi.
Rino Cammilleri riproduce lo stile di certi famosi autori e scrive con il proprio estro presentando personaggi nuovi (vedi Corrado da Tours e don Gaetano Alicante), disegna trame complesse credibili, inserite in un particolare contesto storico vivo e pulsante, perfettamente rappresentato, talora, anche con tocchi di felice ironia.
Bella lettura.
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