Figuriamoci!…
Bologna, anni Ottanta. A dir la verità non verrebbe voglia di parlare della trama quando c’è di mezzo un personaggio come il vicequestore aggiunto Poli Ugo, detto lo Zoppo. Lui, da solo, basta e avanza. Un personaggio che riempie, che straborda lungo tutta la vicenda con una personalità che lascia allibiti. Per la potenza e la perfezione con cui l’ha creato l’autore. Al suo cospetto il più noto Sarti Antonio sergente, tormentato dalla colite, che abbiamo già conosciuto in tanti libri precedenti, fa la figura della comparsa.
Lo Zoppo è fantastico nella sua insopportabile, odiosa, schifosa presenza fisica e morale. Sciancato (un incidente gli ha massacrato la gamba destra), cammina aiutandosi con un pesante bastone, gira su una bicicletta completa di accessori come vuole la legge. Non fuma, non beve, non prende neppure il caffè. Forte con i deboli, remissivo con i forti. Rapporto brusco con tutti (eufemismo), perfino con moglie e figlio (a dir la verità manco ci parla con quest’ultimo). Una specie di Tersite omerico, come è stato puntualmente evidenziato da Tommaso De Lorenzis nella postfazione, e un “Figuriamoci!” ripetuto a iosa per ogni dove.
E’ lui, l’archivista, quello costretto a restarsene in compagnia delle pratiche, a condurre questa volta una indagine del tutto personale. D’accordo, due parole sulla vicenda sono inevitabili. Dunque una macchina, una mano che esce dal finestrino per strappare la borsa ad una ragazza, Norma Valini, diciotto anni in coma per la caduta. Il rapporto di Sarti Antonio, sergente, arriva sul tavolo dello Zoppo per essere protocollato (scontro fra i due). Nello stesso pomeriggio altro fascicolo scritto di pugno dall’ispettore capo Cesare Raimondi “Pratica Romolo Lucito. Incidente sul lavoro”. Una scorsa al documento. Morto nella Cineteca Comunale colpito da una scarica elettrica mentre azionava una moviola attinente ad un film che un gruppo di cineasti sta girando in città. “Incidente sul lavoro, figurarsi!”. Un altro caso insoluto, sogghigna. Buoni a nulla! E’ venuto il tempo dell’indagine, della “sua” indagine. Via da casa in hotel, riscaldato al bisogno da una “coperta”, una settimana di permesso e vediamo chi riesce a risolvere i due casi. In giro di qua e di là con la sua bicicletta che se tentano di rubargliela il bastone su cui si appoggia è pronto a calare, tremendo, sulla testa del ladro (e accadrà). Intanto fra i due casi si scopre un punto di contatto. Norma Valini è andata in Cineteca la stessa notte in cui è morto Romolo Lucito. Perché? Lo Zoppo si frega le mani.
Una storia ottimamente architettata dal nostro Macchiavelli con una scrittura veloce e incisiva tra onorevoli, professoroni, cineasti, pornofilm e puttane, le Urap (unità rivoluzionarie armate proletarie per la presa del potere), mentre un anonimo narratore segue la vicenda e commenta in particolare le azioni e gli sproloqui dello Zoppo. Spunti sulla città “di merda con le strade fra le più scassate d’Italia e non se ne accorgono né il sindaco, che viaggia in automobile supermolleggiata, né i suoi assessori” e siamo scaraventati in avanti di trentacinque anni.
Niente paura, dunque, che il libro, pubblicato nel 1981 nel catalogo de Il Giallo Mondadori, e il personaggio principale siano datati. Oggi lo Zoppo farebbe la sua porca figura nei talk show televisivi e avrebbe un successone perfino in parlamento.
Figuriamoci!
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