Borghese, conservatore e menefreghista praticante, Georges Simenon sta al romanzo sociale come Michael Jordan sta alla briscola sportiva. Scrittore dell'uomo e non degli uomini, si è sempre interessato di più ai drammi individuali che alle tragedie collettive. Esclusi una serie di articoli giovanili dall'esecrabile contenuto antisemita, il maestro belga ha sempre - e con cura - evitato di sfiorare argomenti politici; anche in romanzi come Il Presidente, ispirato alla figura di Georges Clemenceau, il suo sforzo narrativo è sempre stato quello di ricondurre tutto a una dimensione privata.
Questo accade anche nel romanzo Le signorine di Concarneau, scritto nel 1935 e pubblicato nell'anno seguente. Peccato che, in maniera del tutto inconsapevole, Simenon viene fregato dalla sua stessa abilità nel descrivere e raccontare la psicologia umana. L'ipotesi è che questa volta sia la politica a sfiorare l'autore, senza che lui abbia il tempo di scansarla.
Il romanzo racconta le disavventure di Jules Guérec, un ricco bretone proprietario di due pescherecci (un terzo è in costruzione) e di un emporio a Concarneau, piccola cittadina portuale. Guérec ha tre sorelle che sorvegliano e curano la sua vita di bambinone quarantenne, scapolo e senza figli. Sopratutto una delle tre, Céline, ha su di lui l'ascendente di una figura che è contemporaneamente madre, moglie e sorella. A Céline non si può mentire.
Guérec investe e uccide con l'automobile il piccolo Joseph, uno dei due gemelli di Marie Papin, una povera disgraziata del paese. Dopo la tragedia, Jules fugge lasciando il bambino sulla strada. Tuttavia, roso dal rimorso, nei giorni seguenti cerca di rimediare riempiendo di regali Marie Papin e il figlio superstite, assumendo contro la volontà delle sorelle il fratello di Marie (un bambinone anche lui, ma perché soffre di un ritardo mentale) e proponendosi come sposo della stessa Papin.
L'atteggiamento di Guérec è lo specchio del paternalismo in voga nelle classi dominanti dalla fine del 1800 in giù, fino ai nostri giorni, di moda anche tra le nazioni più ricche; così come la passività di Marie fa il paio con l'opportunismo cui è costretta, di conseguenza, parte delle classi più disagiate. Al menefreghista Georges la penna è sfuggita in una direzione talmente sociale e politica che, esagerando, si può anche intravedere nel rapporto tra Jules e Céline - nella loro convivenza forzata - il rapporto tra certi stati dell'Europa contemporanea. A ben vedere, questo romanzo potrebbe essere un meraviglioso errore nella splendida produzione dello psicologo apolitico Georges Simenon.
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