Perfidia (II)
Finito di leggere. Los Angeles al tempo della seconda guerra mondiale. Avevo concluso le prime note chiedendomi che cosa sarebbe successo ad Ashida, poliziotto giapponese di seconda generazione alle prese con il caso Watanabe (famiglia uccisa a colpi di spada), che me lo ritrovo sempre in giro ad indagare, ma ormai occorre “un pazzo delirante motivato da una libidine incomprensibile” (ordine dall’alto). Ecco pronto Fujio Shudo, arrotino ambulante, detto il “Lupo Mannaro”. Facile costringerlo a dire la “loro” verità.
Butto giù come viene. Continuano i casini da tutte le parti. Collettivi e individuali. Scontro con i cinesi, fucilate a sale, gas lacrimogeni, botte da orbi tra Scotty e Lee Blanchard. Poi alla cantina di Kwan, tè alla benzedrina, Brenda Allen a “smerciare la fica”, Clark Gable che mostra in giro una foto di Cary Grant “con un cazzo in bocca”. Avanti ancora. Lotta in cella di Kay Lake con una poliziottona lesbica, cazzotti e coltellate, Ashida costretto a costruire documenti falsi, i rossi che hanno girato un film comunista (tra cui la nostra Kay) messi in carcere e poi rilasciati, incontro tra Dudley (poliziotto marcio) e Claire De Haven, salti sul letto a babordo e tribordo, poi al cinema con la figlia Beth e Bette Davis (sua amante) a cui piace un sacco essere riconosciuta ed è tutto un coro di “Bette” Bette!”, allarme, un sommergibile giapponese in Baja California, Ashida e la scintilla, la lampadina che si accende. Ecco, ci siamo, sa chi è l’assassino vero dei Watanabe!(ma non serve a niente).
Insomma tradimenti, lotta all’interno della stessa polizia, documenti falsi, accordi illegali, si uccide, ci si ammazza di botte, si frutta l’altro amico o nemico, impasticcamenti, droghe, sesso, il marcio dell’uomo che dilaga come una puzzolente chiazza di petrolio nell’America in guerra. Mitragliate di parole a getto continuo, a volte anche nelle parti basse.
Ma l’amore, il sentimento d’amore, quello vero, quello del cuore? Si può trovare in questo orrido miscuglio di merda? Si può trovare. In fondo. Proprio in fondo all’ultima pagina. Come a dire che c’è sempre speranza. Speriamo.
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