Il mondo avrà fine esattamente tra 28 giorni, 6 ore, 41 minuti, 22 secondi. Well, how about THAT now? Domanda: quanto daremmo credito a una simile profezia? Risposta: dipende dalla fonte. Sintetica casistica sulle fonti:

1) un qualsiasi pezzo da novanta della politiKa itaGLiana: gli intimiano di andare a farsi fare una robusta lobotomia;

2) un qualsiasi pezzo da novanta della politiKa ameriKana: gli suggeriamo di cambiare fornitore di meta-amfetamina;

3) un qualsiasi pezzo da novanta della politiKa di Al Queda: insistiano perché verifichi i conti privati del kapò Bin Laden alle Isole Cayman;

4) un qualsiasi pezzo da novanta della politiKa vatiKana: gli diciamo di smettere di guardare “C’è posta per te”;

5) un orrido coniglio nero alto due metri chiamato Frank... Ack!, qui sì che forse è meglio andarci cauti. Per cui, se è proprio al punto 5) che vogliamo dare il maggior credito, allora benvenuti nel mondo (terminale) di Donnie Darko.

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Data astrale 2 ottobre 1988. All’alba di siffatta giornata fatidica il Nostro giace inerte in mezzo a una strada di montagna. Magari si è addormentato nel posto sbagliato al momento sbagliato. Forse è caduto dalla bicicletta, picchiando malamente la testa. O forse, oops!, è stato risucchiato in un qualche vortice metafisico. In ogni caso, il Nostro si alza, si gratta la testa, inforca la bici, pedala fino a una magnificamente ovattata, sinistramente minacciosa cittadina stile Anywhere, USA.

      Il Nostro in questione ha un nome bizzarro, Donnie Darko (Jake Gyllenhaal). Dark, by the way, vuole dire “oscuro”, “tenebroso”. In effetti Donnie è un diciottenne decisamente schizzato, con una madre decisamente paziente (Mary McDonnell), un padre decisamente tollerante (Holmes Osborne), una sorella maggiore decisamente intellettuale (Maggie Gyllenhaal), una strizzacervelli decisamente complessata (Meredith Baxter). Donnie è la classica oddball (palla spaiata) in un quotidiano fin troppo pieno di fasullaggini ameriKanoidi. La sua linda cittadina è finta quanto una banconota da tre dollari. Il suo liceo è sormontato da una grottesca statua canina che sembra uno Snoopy scappato fuori da Chernobyl dopo una pompata di steroidi radiottivi. Ferma al centro di una strada fatiscente, un’ancestrale, solitaria eremita aspetta chissà quale posta che non arriva mai.

      In un simile rilassato contesto, non è poi tanto sorprendente se Donnie “senta voci”. Una voce in particolare, molto cavernosa e ancora più catartica, lo sveglia nel mezzo della notte e gli somministra un’allegra predizione riguardo all’incombente Armageddon. E’ la voce di Frank, mostruoso coniglio nero equipaggiato di dentoni da fare invidia al Conte Dracula. Il mondo, avverte Frank, avrà fine tra 28 giorni, 6 ore, 41 minuti, 22 secondi. Da giocarseli sulla ruota di Bari? Meglio di no. Donnie si alza dal letto, esce di casa e vaga nelle tenebre pre-Giorno del Giudizio. Ottima idea: appena qualche secondo dopo che se ne è andato, qualcosa di maledettamente grosso e fottutamente pesante piove dal più alto dei cieli.

      Un secondo, arcano risveglio nel bel mezzo di un campo da golf al mattino dopo e Donnie rientra a casa. La sua famiglia al completo è nel panico, la sua casa è semidistrutta, immarcescibili tipi in abito nero modello X-Files controllano la rimozione dell’oggetto misterioso piovuto dal cielo. Un reattore di Boeing 747. Just wait a goddamn minute, man! A WHAT?... Per l’appunto. Un reattore che, e questa è veramente la parte da sballo, “nessuno sa da dove provenga”. Ground Zero: la stanza da letto (vuota) di Donnie. Se Frank, il mostruoso coniglio nero, non gli avesse detto di squagliarsi, adios, so long, kaputt Donnie. A tutti gli effetti, adesso Donnie è Lazzaro risorto dalla tomba.

Hey, Frank: thanX, Bro!

      Dal cratere scavato dal reattore in avanti, per la mente già incrinata di Donnie Darko il tessuto della realtà non fa altro che sgretolarsi ad accelerazione crescente. Visioni (o forse allucinazioni), strani incontri (ora violenti, ora delicati), colpi di mano (allagare il liceo, incendiare la casa di un laido professore), l’ombra lunga di un omicidio (vendetta, ritorsione, disperazione). Tutto questo mentre le apparizioni di Frank diventano sempre più spaventose e il conto alla rovescia per Armageddon raggiunge gli ultimi istanti. Fino a un finale di inesorabile logica ma anche di spettrale fatalismo.

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Scritto e diretto da un pressoché inedito Richard Kelly, Donnie Darko è diventato un instant classic non tanto del cinema on the edge ma quanto del cinema “maledetto” in senso lato. Non è un caso che il film (realizzato nel 2001) sia stato tenuto nel cassetto per ben tre anni. Alla luce del tragico 9/11, la nozione del reattore caduto dal cielo risulta atrocemente profetica. Eppure non è solo nel nome di una National Security più o meno distorta che Donnie Darko è rimasto nel ghetto. Ogni chiave di lettura di questo film è una ragionata, premeditata, micidiale ipodermica sociale al cianuro.

      Cominciamo dalle date della narrazione: dal 2 ottobre 1988, dilatata fino al 30 ottobre. That’s right: Halloween, notte delle streghe. Ehi, il mondo non ha affatto avuto fine quella notte! O forse HA avuto fine e noi non ce siamo nemmeno accorti. Facciamo mente locale. Nell’autunno del 1988, la felice & beata “Era Ronald Reagan” volge al termine assieme al Muro di Berlino e ai brutti, sporki, kattivi sovietici. Welcome to global Disneyland? Wrong, Bro, dead wrong. Perché la saga del “Bushismo” (Bush, Sr.) sta per cominciare. E dopo l’interludio da fasulla Età dell’Oro di Bill Klinton, l’AmeriKa e il mondo precipiterano nel secondo Bushismo (Bush, Jr.), sui cui effetti correnti basta leggere le cronache degli obitori di massa. Citando il titolo del più recente romanzo dell’ottimo Peter Blauner, forse quel 2 ottobre 1988 è davvero The Last Good Day, l’ultima buona giornata, prima che calino le tenebre del sonno della ragione.

      Passiamo all’ambientazione. Steccati bianchi dappertutto, bravi papà annaffiano i praticelli, devote mammine preparano la torta di mele, graziosi bimbetti corrono in triciclo, non un solo nigger in vista. Com’è beata la cittadina di Donnie Darko: una vera orgia del “nostro stile di vita”. Peccato che, grattando via appena un po’ di vernicetta, trovi il brulicare di vermi, ratti e altre creature cloacali assortite. Il preside del liceo è un patetico idiota retrogrado e fascista. La maggior parte dei suoi studenti sono brutali gangsta che fanno fatica a scegliere se strafarsi di streppa o lubrificare i fucili d’assalto in attesa di un giorno di fuoco & di gloria nella peggiore tradizione di strage Columbine High. La timoratissima insegnante di ginnastica coreografa un quintetto di verginelle in un balletto al limite del porno. Il conferenziere che predica autostima a tassametro è un turpe pedofilo. Infine, last but not least, in un qualche vicolo remoto, forse c’è in agguato il figlio naturale di Hannibal the Kannibal Lecter. Vogliamo chiamarlo Frank? Se non è questa la migliore ricetta del count down to Armageddon, ditemi voi qual è.

      Chiudiamo con la filosofia. Che cosa vede, esattamente, il povero, disadattato Donnie Darko? Lo svilupparsi di un incubo allucinatorio terminale? Il transito di un wormhole, un tunnel tra diverse regioni del continuum spazio-tempo? La propria predestinazione al martirio nel tentativo di evitare l’inevitabile?

Non abbiamo una risposta definita dal film. Siamo noi, gli spettatori, a decidere se darla e quale. Oppure non darla.

      Secondo www.imdb.com (Internet Movie Data Base), website-oracolo del cinematografia mondiale, Donnie Darko è uno dei cento film più belli della storia del cinema. Valutazione forse eccessiva. A tutti gli effetti, questo anomalo, coinvolgente, accusatorio lavoro di Richard Kelly potrebbe essere il film americano più politico – e anche più politicamente scorretto – degli ultimi venti anni. Da non perdere. Soprattutto per chiunque di voi là fuori voglia avere una sua personale view from the edge.

DONNIE DARKO

Produzione: Flower Films (2001)

Distribuzione: MovieMax (2004)

Cast: Jake Gyllenhaal, Mary McDonnell, Drew Barrymore, Ethan Wyle, Patrick Swayze, Jena Malone

Regista: Richard Kelly

Sceneggiatore: Richard Kelly

Produttori: Sean McKittrick, Nancy Juvonen, Adam Fields

Musica: Michael Andrews

Direttore della Fotografia: Steven Poster

Art Director: Alexander Hammond

 

Prossimamente On the Edge: tetri incontri kafkiani, sinistre insonnie terminali e macchine utensili kannibali. Che festa, gente!