Il fatto che sia tornato dopo sei anni la dice lunga sulla scelta dell'autore. Carlotto non ha voluto cavalcare l'onda ad ogni costo, ma anzi, ha aspettato il tempo giusto di decantazione per servire un ottimo romanzo.
Dopo "L'amore del bandito", con "La banda degli amanti" viene rimesso in pista Marco Buratti, alias l'Alligatore, che si trova a indagare su un caso di scomparsa.
Un preambolo succulento ci spiega cosa è accaduto, nel frattempo, e che strade abbiano intrapreso sia Marco che i suoi soci Max e Beniamino. Sembra proprio che avessero bisogno di una pausa, dopo tutti i trascorsi difficili. L'Alligatore ha optato infine per un riposo sardo ed è lì che una ricca cinquantenne svizzera lo ingaggia e vince la sua riluttanza a occuparsi del caso.
La questione è semplice: il suo amante, professor Di Lello, l'uomo che la faceva sentire come una dea e le aveva colorito una vita prima emotivamente piatta, è stato sequestrato. Lei vuole conoscere i nomi dei criminali che le hanno distrutto la favola. Sotto insistenza della sua avvocatessa, trait d'union con la questuante, Buratti accetta l'incarico e comincia a lavorarci sopra con la collaborazione dei validi soci.In realtà Buratti le dice subito come stanno le cose, ha molto chiaro il quadro della malavita e delle strategie d'azione. Il sequestro di persona a scopo di estorsione è un reato del passato, del resto. E i così detti "sequestri volanti" chiedevano un riscatto contenuto e uno scioglimento in breve tempo, certo, ma appartenevano a un'epoca in cui era più semplice maneggiare giri consistenti di contanti. Comunque sia, si aprono le danze e coinvolgono anche un altro personaggio indimenticabile, il malvagio, bastardissimo Giorgio Pellegrini, che pare trovare appagamento solo quando gli altri si sentono infelici, colpiti o inadeguati. Massimo Carlotto ha orchestrato un noir dalla scrittura godibilissima e precisa, ma anche dall'impalcatura impeccabile, il tutto senza rinunciare, com'è nella sua cifra, a uno sguardo lucido e dissacrante sulla nostra realtà, nello specifico sul nordest sfondo della vicenda. E il lettore percepisce che qualsiasi frase, qualsiasi freccia diretta allo stato delle cose si basa su un'attenta documentazione che parte dal territorio, lo stesso territorio che chi scrive conosce molto bene:
«Padova non era affatto cambiata. La nuova giunta aveva vinto le elezioni con una campagna elettorale basata sulla sicurezza e la lotta al degrado, promettendo di eliminare la mendicità molesta, i campi rom, la prostituzione per strada, i clandestini e tutti gli altri elementi di disturbo. I nuovi padroni della città erano però abbastanza scaltri da capire che quando esageravano dovevano aggiustare il tiro in fretta. [...] I politici facevano il loro mestiere, i padovani erano soddisfatti delle promesse di una città "pulita", ma lo spaccio di cocaina continuava a farla da padrone in centro. Facce vecchie e nuove di pusher locali e stranieri, informatori, sbirri, ex escort, ragazzini e ragazzine pronti a offrire sesso in cambio di droga e quattrini. E i consumatori. Tanti e discreti. La giostra girava che era una bellezza»
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