Con Hanne Wilhelmsen…
Un treno deraglia a Finse, quota 1222 metri, tra le Alpi norvegesi. Tutti i passeggeri bloccati per la neve e il freddo. Giovani spavaldi, uomini d’affari, bambini, una squadra di pallavolo femminile, tedeschi, due musulmani, un sudafricano, una donna dello spettacolo, un ragazzo duro a parole, la direttrice dell’albergo in cui vengono sistemati e pure cani che avranno la loro parte. Tra questi Hanne Wilhelmsen, ex poliziotta ridotta in carrozzella per un proiettile che le ha spezzato la spina dorsale, ora ferita pure ad un polpaccio. E il sacerdote Cato Hammer, uno di quelli che “non giudicano nessuno. Amano chiunque”. Ucciso con un colpo di pistola in testa. Così la nostra Hanne è costretta ad indagare prima che arrivino i soccorsi. Da ferma, bloccata, intirizzita dal freddo e dolente per la ferita. Dunque solo occhi per vedere ed orecchie per ascoltare. Ed è proprio da una frase di un altro personaggio che riuscirà a risolvere il mistero tra momenti di tensione della combriccola, spunti di varia umanità e un ricordo e l’altro della sua vita.
Ci sono affastellati tutti gli elementi del giallo classico: l’inverno, la neve, il chiuso claustrofobico e ossessivo, la citazione dell’Agatha di “Dieci piccoli indiani”, i morti ammazzati compreso un assassinio con un’arma particolare che svanisce nel nulla, dubbi, sospetti, ripensamenti, il passato tremendo che ritorna, la tipica chiusura finale con giro cruciale di domande. In più, all’ultimo piano, qualcosa che turba, forse la guardia ad un prigioniero a complicare il tremendo soggiorno.
Un libro che si fa leggere volentieri con qualche pagina di troppo (mia fissazione).
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