Quattordicesimo gioiello della collezione Sabot/age di edizioni e/o, collezione diretta da Colomba Rossi e curata da Massimo Carlotto – lo ricordo ogni volta, perché è importante e perché dietro questo progetto si porta vanti un intento non solo di intrattenimento, ma soprattutto di sabotaggio: scuotere dall’intorpidimento, palesare realtà più o meno nascoste, indagare nelle piaghe di una società che troppo spesso china il capo –, “Nel posto sbagliato” è il terzo romanzo di Luca Poldelmengo. L’autore, nato a Roma nel 1973, in curriculum il premio Crovi come migliore opera prima con “Odia il prossimo tuo” (Kowalski, 2009) e una finale al Premio Scerbanenco 2012 con “L'uomo nero” – procede con brevi capitoli che si alternano snelli in una successione quasi cinematografica, a riprova delle sue origini di sceneggiatore.
Il romanzo mette in gioco diverse carte originali, prima tra tutte la squadra speciale, la Red, addestrata in una sperimentazione molto particolare e utilissima ai fini delle indagini: un’ipnosi sui testimoni per permettere di visualizzare, attraverso i loro ricordi, gli ultimi istanti di una scena del crimine o di qualsiasi altro fotogramma sollecitato. È qualcosa di molto di più del Grande Fratello orwelliano. È cioè qualcosa di più efficace di una telecamera: qui viene azionata direttamente la nostra mente e si rivela infallibile nel registrare luoghi, presenze, dettagli.
Padre ideatore del progetto è il professore Luca Basile, uno dei riusciti personaggi di una nutrita galleria che dà un volto corale al romanzo e che è ben caratterizzata, a partire dall’ansiosa Sara o dal detective Vincent Tripaldi, uomo cinico dalla maniacale precisione nell’«adornare il suo privato, nel fallace tentativo di distogliere l’animo dal fallace nulla che conteneva». I personaggi vengono fatti muovere avendo cura di pennellarne anche l’identità profonda. Così, ad esempio, il lettore scopre quanto sia potente, nell’esistenza di Vincent, l’ombra del gemello Nicolas, di cui gli rimangono due serpenti che sono come i due fratelli: insidiosamente identici, ma solo in apparenza, perché uno è velenoso, l’altro innocuo.
In tutto questo scenario, il lettore si pone delle domande. Il fine giustifica i mezzi? Il controllo è a qualsiasi costo? L’aria fetida e i rifiuti sono metafora di una rovina che già infesta la nostra società? Anche questo vi chiederete immaginando il lugubre relitto di ruota panoramica in riva al mare, baluardo di un disastro naturale che si è mangiato chilometri di costa.
Quando avviene un’esplosione alla stazione tanto ricorda la bomba del 1980, a Bologna, sia per orari – 10:25 – sia per modalità. Vagoni sventrati o accartocciati, polveri e detriti, sullo sfondo di una città messa in ginocchio dai tempi duri che proiettano i tempi in un futuro vicinissimo, potrebbe essere quasi il nostro presente:
«La crisi economica, che aveva messo in ginocchio gran parte dell’economia legale, per le mafie si era rivelata una ghiotta opportunità: usura, manodopera a basso costo, aumento del consumo di sostanze stupefacenti, della domanda di gioco d’azzardo e prostituzione».
Poi uno della squadra viene trovato morto e la questione si complica, perché irrompono nella storia sia nuove forze, sia nuovi contro-bilanciamenti, come il dottor Francesco Oberdan, personaggio chiave per lo scioglimento finale, portavoce di quello che molti vorremmo sentire, quando si parla di giustizia e di tutela dei diritti prioritari:
«Oberdan voleva sentirsi dire che nessuna giustizia poteva fondarsi su un’ingiustizia, che la privacy era sacra, che certi diritti umani erano inalienabili, che nessun ideale, per quanto alto, poteva metterli in discussione».
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