Gaddis, un piccolo truffatore, è alla ricerca di un nuovo socio col quale tentare il grande salto. Si imbatte casualmente in Rodrigo, piccolo truffatore anche lui…

 

Più che un remake di Nove regine, Criminal ne è un vero e proprio clone, operazione certo non nuova su pellicola, così come in altri contesti, al pari di un’altra operazione fotocopia risalente a qualche anno fa e che vide John Badam girare Nome in codice: Nina, vera e propria scopiazzatura di Nikita di Besson.

Stavolta l’operazione suscita meno “scandalo” soprattutto perché Nove Regine lo hanno visto in pochi, mentre all’epoca, era il 1990,  Nikita lo videro in parecchi così che i confronti furono inevitabili (tra l’altro il film di Badam era inguardabile…).

 

Trattasi comunque di un remake coi fiocchi, perlomeno a livello di confezione, segno che Soderbergh & Clooney ci hanno creduto: al montaggio Stephen Mirrione (Oscar per Traffic), alle luci nientemeno che Chris Menges (doppio Oscar, Killing fields e Mission). Questo per dire che Criminal, pur non essendo nulla di più che un riporto quasi onnicomprensivo del prototipo, come film si lascia vedere, sfruttando a dovere la coppia John C. Reilly, un caratterista di sicuro affidamento, e l’emergente Diego Luna, per alcuni il fratello povero di Gael García Bernal

Confezione di lusso quindi, per una storia dove il raggiro e l’inganno, l’apparire in un modo ed essere tutt’altro, sono le regole chiave per relazionarsi al prossimo.

 

Il modello neanche troppo occulto cui Criminal si rifà, e al quale si rifaceva anche Nove Regine, non è come verrebbe da dire di primo acchito La stangata. Non lo è (non può esserlo…) per via delle profonde divergenze all’opera a livello di strategie narrative. Mentre nel film di Hill il piano architettato da Newman e Redford ai danni del gangster Shaw era palese a tutti tranne che alla vittima, stavolta ciò che si vede corrisponde solo per metà a quello che sta accadendo realmente; pensiamo di sapere tutto e invece conosciamo soltanto una piccola parte della vicenda.

Il modello piuttosto sembra essere La casa dei giochi di Mamet, modello a tutto oggi insuperato in virtù di una maggiore complessità del contesto che nel film di Mamet prevedeva la presenza di una psichiatra che finiva raggirata per bene da un manipolo di truffatori guidati da Joe Mantegna, il che dimostrava, con estrema eleganza, come la conoscenza accademica ha sempre la peggio quando incontra quella empirica.

Pur ispirandosi al film di Mamet la struttura di Criminal (e di Nove Regine) rimane al contrario fortemente autoreferenziale, al punto che il metteur en scène della truffa finisce con l’esserne vittima.

 

Ma dove Criminal diverge banalmente dal suo prototipo è nelle conclusioni, visto che ci si trova a fare i conti con un sottotesto punitivo rivolto verso chi è libero di truffare chiunque, anche le vecchine se è il caso, basta che non cerchi di fare altrettanto con i parenti stretti…