Per tutto il mese di agosto è in edicola su Segretissimo Mondadori (n. 1614) il terzo romanzo della serie “L’Operativo” - Targeting - firmata da Kevin Hochs. Non poteva mancare un’intervista per la nostra rubrica “Spie nel Mirino”.
Innanzitutto: un caldo benvenuto a te, Kevin, su ThrillerMagazine. E lieti di ospitare anche il tuo Operativo (beh, a meno che lui non sia qui per una “missione bagnata”, ovviamente.
Ringrazio fervidamente per l’accoglienza, che mi onora e mi compensa di tutta la fatica richiesta dall’impostazione della narrativa. Quanto all’Operativo, non c’è da temerlo. Le sue missioni non sono propriamente bagnate. Lo diventano per necessità ineludibili, dopo incarichi più investigativi che disinfestanti. Uccide quando non esistono soluzioni differenti, come accade nel vero mondo dell’intelligence, dove conta la raccolta dei dati, non la lista dei cadaveri. Un morto attira sempre l’attenzione. Troppa.
L’Operativo: tre romanzi (al momento) per tre differenti identità. Descrivici il protagonista del tuo serial per “Segretissimo”...
Si tratta di un individuo approdato a questo lavoro per una destinazione naturale che gli deriva dal carattere innanzi tutto. È un indipendente, non un solitario. Si muove con certa padronanza nelle tortuosità di un’epoca, quella attuale, che non dà scampo agli indecisi. Fra l’altro, l’espressione “agente segreto” nella realtà non designa chi effettua missioni in incognito, bensì chi passa informazioni, spesso a pagamento. Invece la spia che va in azione si definisce, appunto, “field operator”. Operativo sul campo. Chi svolge una simile mansione cambia di volta in volta identità. Non esiste uno che seguita imperterrito a presentarsi: «Mi chiamo Bond, James Bond». Oltre alla personalità, c’entra molto il fisico, che dev’essere prestante senza apparirlo. L’Operativo potrebbe somigliare a Jason Statham, che se si veste dimesso e china un po’ le spalle, non spicca molto.
In “Sandblast” è... E deve...
Al suo esordio assume I panni di Peter Blindfold e deve impedire che venga sabotata la firma di un trattato di pace fra israeliani e palestinesi. La missione riesce soltanto in parte: viene smascherata la congrega dei guerrafondai, che va da un dittatore del Medio Oriente ad un alto funzionario della stessa intelligence Americana. Il trattato, però, non viene firmato. Il romanzo anticipa perciò le ostilità successive in quella martoriata area del mondo.
In “Stormvogel”...
Più complicato. Forrester, il funzionario che ha tramato per mantenere la tensione in Medio Oriente, si appropria di uno schema geopolitico elaborato negli anni ’30 del secolo scorso da un matematico nazista ed arrivato ad un suo discendente. Determinate equazioni, riportate in strategie diplomatiche e military, possono avere effetti devastanti sull’equilibrio internazionale. Nel romanzo si intende utilizzarle per destabilizzare la Cina, che effettivamente al suo interno ha molti focolai sottaciuti nei media. Non solo il Tibet, ma anche le minoranze musulmane e le trame di potere al vertice. L’Operativo stavolta viene guidato da un anziano mentore, Slocombe, che è il suo nuovo capo ed avrà un’importanza crescente negli sviluppi successivi.
In “Targeting”...
Qui addirittura l’Operativo agisce in squadra. Oltre a Slocombe, gli si affianca Jessica Thorney, esperta della CIA nell’individuare bersagli da eliminare preventivamente prima che creino problemi per l’occidente. Salvo che qualcuno sta facendo la stessa cosa al contrario. Sono uccisi scienziati ed accademici di valore e se la serie nera continuasse, le nazioni sviluppate ne risentirebero. Con Slocombe, l’Operativo e la Thorney c’è Desmond Miles, del MI6, che aveva esordito in Sandblast, dove faceva ancora parte del MI5. Lui rappresenta il fianco inglese delle operazioni, nel rispetto dell’inscindibile legame fra “cugini”.
Quali sono le caratteristiche principali della serie, invece? I suoi punti di forza e i suoi tratti distintivi, per soggetti, sceneggiature e stile narrativo...
L’autore non ha che intenzioni. Sta al pubblico decidere se si sono realizzate. Quindi, come idea di partenza, c’è un taglio visuale molto accentuato, perché si approda ai libri dal cinema e dalle nuove serie televisive, entrambi caratterizzati da un montaggio ipercinetico. Cui però va aggiunta la proprietà intrinseca della scrittura, che è la prosa. Questa deve avere qualità letteraria. Non per esibizionismo gratuito, ma per mantenere una specificità che non ha il racconto visivo. Inoltre, il romanzo di spionaggio si presta molto più del poliziesco ad un’alta densità di contenuti, dallo scavo nei vite individuali all’ampia cornice della contemporaneità.
Posso aggiungere che un tratto misuratamente ironico è un’altro aspetto proprio dei romanzi dell’Operativo?
Sì. Un’ironia nella quale convergono il motteggio, l’aneddotica, le uscite gergali delle spie. Per accentuare la credibilità dei personaggi. Ciascuno di loro appartiene al mondo occulto, che ha dei riferimenti quasi obbligati. Il tutto a beneficio dei lettori, che dovrebbero compenetrarsi nell’ambiente, apprezzandone meglio i risvolti.
Ad un certo punto di “Targeting”, c’è uno scambio spiritoso sul SIS e sull’influenza di le Carrè piuttosto che di Fleming sul suo personale. E parliamo allora un po’ insieme di questi - e altri - numi tutelari della narrativa spionistica. Fammi un po’ di nomi di scrittori di spy fiction e affini che leggi o hai letto più volentieri.
Tempo fa un dipendente dei servizi inglesi dichiarò che nel suo giro ci si lasciava influenzare parecchio da John le Carrè. E non deve stupire, dato che Mister Cornwell proviene proprio dall’intelligence e sa bene di ciò che scrive. Beato lui. Noi esterni possiamo solo documentarci. Quanto ai numi tutelari, conosco ovviamente a memoria Le Carrè e lo rileggo di continuo. Ma apprezzo tantissimo il compianto Bill Granger, di cui finalmente si sono decisi a portare sullo schermo il suo Devereaux, l’uomo di nome Novembre [The November Man, dal 27 agosto prossimo nei cinema USA. N.d.R.].
Aspetto ogni estate il nuovo romanzo di Daniel Silva, che però si rifà un po’ troppo smaccatamente a Fleming. Gli altri sono tantissi: Frederick Forsyth, Jack Higgins, David Ignatius, il Ken Follett spionistico (le altre cose sue non m’interessano), Jon Stock, inedito in Italia, Matthew Dunn, Brad Thor, Colin Forbes, Ted Allbeury, Charles Cumming.
Poi, alcuni del passato: Helen MacInnes, Desmond Bagley, Palma Harcourt, Adam Hall, Trevanian, Bryan Forbes. Più i classici: Buchan, LeQueux, Childers, Sapper, ecc. Tom Clancy mi piace moltissimo, ma non era un vero scrittore di spionaggio. In lui la tecnologia miliare e la politica conservatrice di Washington prendono il sopravvento.
E un autore noto che invece proprio fai fatica a leggere?
Robert Ludlum. Pace all’anima sua, considero le sue trame implausibili, sfrangiate e spesso incoerenti.
Tira fuori tre titoli di spionaggi dal mazzo dei letti e sintetizza le ragioni per cui li hai scelti.
L’ufficiale e la spia (An Officer and A Spy, 2013. Mondadori 2014), di Robert Harris, impeccabile ricostruzione dell’affare Dreyfus, ricco di suspense malgrado la fine sia nota. Una verità delicata (A Delicate Truth, 2013. Mondadori 2013), di John le Carré, in cui vengono denunciati i rischi di operazioni antiterroristiche disumane. Dead Spy Running, di Jon Stock, puro distillato di attualità, indicativo del fatto che anche a guerra fredda finita i servizi britannici sono vivi e lottano insieme a noi... si fa per dire.
E di Kevin Hochs, cosa possiamo sapere? Senza doverci rivolgere a qualche emulo di Snowden, ovviamente...
È un ragazzo cresciutello che ha sempre sognato di fare lo scrittore di azione angloamericano. Adesso sembra esserci riuscito. Ma in questo campo adagiarsi sui risultati significa votarsi al fallimento. Davanti si para ogni volta un nuovo inizio, con tensioni irrisolte, terrore di sbagliare, volontà granitica di costruire ogni cosa impeccabilmente. Non certo per velleità commerciali. Narrare è un servigio da rendere agli altri, per alimentare il circolo virtuoso della cultura, dell’interscambio, della condivisione di entusiasmi, dell’arricchimento linguistico.
Un commento sulla Legione Italiana di “Segretissimo”, cioè gli autori italiani che, sotto pseudonimo e/o con il proprio nome, pubblicano in collana...
La Legion è una splendida iniziativa. Fra l’altro, tutti i componenti sono abbastanza sintonizzati sullo stile e sull’andamento delle storie. Azione, verosimiglianza e adrenalina.
Come quasi tutti i “Segretissimo” pubblicati da qualche tempo, anche “Targeting” è disponibile in eBook. Che ne pensi dell’editoria digitale?
Può convivere senza danno con quella cartacea. L’editoria digitale è complementare a quella cartacea, non concorrenziale. Di solito, io compro in Kindle i libri di documentazione. A volte anche le nuove uscite in lingua originale. Alcune delle quali poi acquisisco in cartaceo, e spesso anche in due copie, una per ciascuna delle due biblioteche delle due città fra cui distribuisco la mia esistenza.
Sei già al lavoro su un prossimo romanzo dell’Operativo?
È... segretissimo, naturalmente!
Siamo a fine intervista. Ti rigrazio, saluto e lascio la parola per l’ultima cartuccia: colpisci l’attenzione del lettore che ancora non ti conosce e portalo in edicola o sul suo estore preferito, a comprare “L’Operativo: Targeting”.
Chi non si accontenta dei notiziari ha un’occasione per vedere dell’altro. In Targeting c’è una Baghdad che non appare più in nessun telegiornale, specie ora che l’ISIS avanza. E si fa un’ipotesi sconcertante sull’attuale crisi finanziaria, tutt’altro che finita.
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