Il western nella narrativa, nel cinema e nell’opera di R. E. Howard
di Luca Ortino, Walter Catalano, GianFilippo Pizzo e Roberto Chiavini,
dal volume "Sfida al Canyon infernale: i racconti western del creatore di Conan il Barbaro",
pubblicato da Fratini Editore, Firenze, 2014.
Oscurità e frescura dentro l’abitazione, fuori il calore stridente del terreno e la luce abbagliante della prateria che irrompe selvaggia negli occhi di chi, correndo, si affretta fuori per vedere chi stia arrivando, anche se fuori lo attende una freccia o un colpo di pistola che ruberà la sua vita o solamente un cavaliere latore di notizie riguardanti lutti, matrimoni o eredità inattese... questo è il West dei nostri ricordi, della nostra giovinezza, un paese dell’anima probabilmente mai esistito (almeno in questi termini) ma che, complice la forte visionarietà del cinema a questo genere dedicato, si riaffaccia alla nostra memoria, con i suoi forti colori e contrasti, anche nell’incavo delle nostre palpebre chiuse nell’atto di ricordare... Si, ricordiamo, noi ricordiamo il cappio stretto al collo del fratello prima di crollare esanime nella polvere gialla ancora con l’armonica in bocca, l’ultimo colpo del bounty killer, la fiammata purpurea della sua pistola, la pagaia che scosta l’acqua azzurra, riflesso del cielo dalle nuvole altissime mentre si traversa il Big River... ma prima di tutto questo, facciamo un piccolo passo indietro, torniamo agli Trenta del secolo scorso, a un cinema in bianco e nero e a una letteratura pulp che invece già immaginava a colori, che precorreva gli sviluppi successivi della cinematografia che ha reso il genere così popolare da tramandarlo fino a noi. Fra gli scrittori che più si distinsero in quel periodo quasi eroico Robert E. Howard costituisce un esempio di forza e di vigore narrativo tale da impiantarsi come un chiodo nel cervello, i suoi racconti restano dei monumenti a quell’epos immaginativo che la frontiera americana tramanda di sé unitamente alle suggestive immagini pittoriche quali possiamo trovare nei dipinti di Frederic Remington, di Alfred Miller e altri artisti coevi al periodo storico narrato dal nostro.
La frontiera continua a restare un punto di riferimento letterario con i valori etici che caratterizzano gli eroi dei racconti di Howard anche successivamente, negli splendidi racconti western di Elmore Leonard, le cui opere hanno ispirato a loro volta molti dei film ormai classici del genere prima che anche questo scrittore - sulla scia della disillusione che i successivi sviluppi del cinema e della letteratura western hanno portato disvelando la retorica dell’eroismo dei bianchi e la falsità delle premesse morali che stavano dietro alla libertà professata ma non applicata dai protagonisti di quell’era - cambiasse genere trasferendo le proprie meditazioni su personaggi perdenti nella vita i quali l’etica l’hanno lasciata del tutto alle loro spalle. E’ triste quindi considerare che la raggiunta maturità dell’epica letteraria e cinematografica della frontiera americana abbia portato via dal genere tanto pubblico ma anche tanti autori che hanno trovato più profitto in altri settori, non permettendo al genere western di arricchirsi di ulteriori contributi che ne aumentassero il livello qualitativo sviluppandone i collegamenti con la letteratura mainstream. In questo senso l’unico contributo considerevole degli ultimi anni e’ stato apportato da Cormac Mac Carthy, che soprattutto nella Trilogia della Frontiera, descrive un west moderno ambientato a circa metà del secolo scorso ma in cui si ripetono alcuni stilemi del western classico, chiaramente senza più l’entusiasmo a volte quasi infantile della narrativa pulp. Quasi un epitaffio del genere.
Se molti abbandonano la narrativa di frontiera altri paradossalmente gli si avvicinano, molti scrittori della letteratura di immaginazione e di science fiction trovano la loro frontiera altrove, nello spazio, sugli ultimi pianeti oggetto di esplorazione e colonizzazione. Molta della matura space opera dagli anni cinquanta in poi per mano di autori quali Poul Anderson, Gordon Dickson, Harry Harrison ed altri segue questa via trovando al tempo stesso un rinnovato entusiasmo per i nuovi territori da esplorare seguito poi dalla consueta disillusione sulla modalità attraverso la quale la specie umana si rapporta con l’altro, prima pellerossa, poi alieno.
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