Stanco dei continui soprusi da parte del capoufficio, Willard sfrutta la sua amicizia con una colonia di topi per vendicarsi…

Se agli alieni buoni subentrano quelli cattivi, così da sfruttare gli estremi (La Guerra dei Mondi), perché lo stesso meccanismo non dovrebbe funzionare anche con i topi?

Detto fatto.

Dopo un’indigestione di topolini in gamba (Stuart Little, chi altri se no?) e altri sotto sfratto, è la volta di una coppia di topi dai nomi altisonanti: Socrate, bianco, piccolo, mansueto, fedele, gregario), e Big Ben, nero, grosso all’incirca quanto un gatto, feroce, infedele, con una spiccata propensione alla leadership. Entrambi sono le prolunghe animali del Willard del titolo, che tanto paranoico non sembra visto che le vessazioni che riceve dal capo sono tutt’altro che immaginarie.

Ma due prolungamenti così antitetici, è chiaro, non possono durare a lungo senza che il povero Willard non finisca con l’andarci di mezzo, soprattutto per colpa di Big Ben.

Ovviamente prima che ciò accada c’è tutto il tempo perché la vendetta di Willard nei confronti del bieco capoufficio (interpretato nientemeno che da R. Lee Ermey, l’indimenticabile sergente Hartman di FMJ), si consumi grazie soprattutto all’intervento di Ben e i suoi fratelli.

Niente di che questo Willard il paranoico di Glen Morgan (remake di Willard e i topi di Daniel Mann, 1971, seguito l’anno dopo da Ben), in virtù di una trama che ricalca con fedeltà eccessiva tutti i punti salienti dell’eterna storia dell’uomo che nell’evocare le forze primitive della natura dimentica che prima o poi queste ultime gli sfuggiranno di mano.

 

Cosa conservare del film? Di sicuro la performance di Crispin Glover (Venerdì 13: capitolo finale, Dead Man) che interagisce con i suoi partner roditori con un’intensità emotiva che non può lasciare indifferenti. Poi la casa dove si svolge gran parte della vicenda, enorme, sempre uguale e al tempo stesso diversa ogni qualvolta vi entriamo accompagnati dalla cinepresa. Infine l’unico spunto comico della storia, quando R. Lee Ermey si ritrova al posto del mouse un topo vero.

Da notare l’assoluta mancanza delle soggettive animali, il che, in un film abitato da centinaia e centinaia di topi (tra l’altro veri perlomeno nel 99% delle scene) porta a chiedersi il “perché” (da quanto appena detto si intuisce che chi non sopporta i topi farebbe meglio a evitare…).