Dichiariamo subito due enormi conflitti di interesse che sicuramente influiranno su questa nostra recensione.
A chi scrive, da anni un po’ annoiato dalla fiction poliziesca anglosassone, non pare il vero di potere scovare, di tanto in tanto, una pepita nel mare magnum della narrativa noir internazionale che finalmente l’editoria di casa nostra comincia a tradurre con una certa solerzia, spaziando per di più per culture e paesi un tempo off limits al lettore medio: cioè a quello che si abbeverava all’unica fonte del sapere poliziesco costituito dal “Giallo Mondadori” e dalle collane sorelle.
D’altra parte non si può cancellare con un colpo di spugna una formazione costruita libro dopo libro sui classici, prima inglesi whodunit, poi americani hard-boiled, e parallelamente su quegli splendidi romanzi fuori serie del franco-belga Simenon; né una maturità alimentata dalla migliore narrativa italiana d’indagine sempre – anche nelle declinazioni più umoristiche come in Macchiavelli o nel Lucarelli di Coliandro – ben ancorata al dato reale e priva di fumisterie ideologiche.
E così, armati di ottime intenzioni e grondanti di eccessive aspettative, ci siamo avvicinati a Il Grande Manoscritto di un autore nei cui confronti avevamo maturato un robusto senso di colpa: per il fatto che potesse essere la pepita, appunto (in questo caso serba), e per averlo letto solo al quinto romanzo tradotto – una disattenzione davvero imperdonabile.
Ma evidentemente il fiuto, educato da anni e anni di letture giallonere, non aveva ingannato: pagina dopo pagina, seguendo l’io narrante, l’ispettore Dejan Lukić per le strade di una città immaginaria dove solo l’onomastica dei personaggi riporta ad un universo blandamente slavo, siamo piombati in un abisso di disperazione.
Innanzi tutto perché non abbiamo dato il giusto peso alla terza di copertina dove, in maniera che per noi doveva risuonare decisamente inquietante, viene detto esplicitamente che l’autore “ha compiuto studi di filologia e teoria della letteratura all’università della sua città, dove, dal 2007, tiene come professore corsi di scrittura creativa”: che razza di noir poteva scrivere un seguace delle più aggiornate teorie letterarie?
In secondo luogo perché il romanzo, ponendosi come dichiarato sequel del precedente L’ultimo libro, rivela di quest’ultimo alcuni particolari decisamente raccapriccianti per chi, in un poliziesco, voglia gustarsi il finale; anche altri autori negli anni sono caduti in questa trappola, evidentemente confidando in una fedeltà del lettore-tipo che non sempre è possibile garantire: ma vedi mai che il dottissimo autore se ne frega del lettore medio e sta strizzando l’occhio allo scafato divoratori di tomi post-moderni?
In terzo luogo compaiono sin dalle prime battute, quando si paventa la scomparsa di una scrittrice di bestseller, alcune situazioni alquanto eccentriche: oltre alla camera chiusa dall’interno – questa trovata sì decisamente rétro – anche un cellulare che funziona senza batteria e senza SIM card più altri particolari che non sveliamo per non togliere il gusto della lettura al coraggioso che vi si volesse cimentare.
Infine – e finalmente è svelato l’arcano del clima surreale che si respira nel noir – viene chiarito senza possibilità di dubbio che stiamo leggendo un metaromanzo con annesso rapporto di amore-odio tra scrittore e personaggio e piacevolezze varie che abbiamo imparato a conoscere sui banchi di scuola con Pirandello e i suoi insolenti personaggi in cerca di un qualsiasi autore.
Solo a questo punto è scattato automatico l’istinto di sopravvivenza, ma era troppo tardi; trascinatici distrutti sino al termine del romanzo, abbiamo amaramente rimpianto i momenti sottratti ad altre letture, a serie tv d’importazione, persino a qualche succedaneo di cinepanettone ancora in circolazione.
Coscienti però di avere al tempo stesso i due giganteschi conflitti d’interesse da subito dichiarati e il dovere di preservare la salute mentale del lettore italiano, abbiamo con sofferenza steso queste poche righe per i nostri soliti 25 lettori di manzoniana memoria e ci asteniamo pietosamente da ogni giudizio, in attesa che la penisola balcanica partorisca qualche bel giallo senza troppe paranoie intellettuali capace di riconciliarci con L’altro noir che dà il titolo a questa rubrica.
Voto: n.g.
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