Maria è una ragazza di diciassette anni impiegata in un’azienda di fiori. Stanca dei sacrifici e della povertà, accetta di trasportare un carico di droga verso gli Stati Uniti per conto di un narcotrafficante colombiano…
Maria Full of Grace di Joshua Marston, una sorta di Traffic dell’anima dove alla lotta contro il narco-traffico e al consumo della sostanza temi portanti del film di Soderberg, si sostituisce la scelta di diventare un corriere della droga, in un continuo, e a tratti riuscito, rimescolio di sacro e di grazia con il profano e l’orrore, dove ognuna delle due parti tenta di avere la meglio sull’altra.
Se si resiste ai primi dieci minuti, un po’ anodini, ci si ritroverà nel territorio dove vivono le mule, cioè i corrieri donna che accettano di trasportare ovuli di cocaina nella pancia.
Il risultato è pura vertigine visto che Maria (Catalina Sandino Moreno, Orso d'Argento come migliore attrice al 54mo Festival del Cinema di Berlino) in pancia porta non soltanto ovuli ma anche un bambino.
Il risultato? Il massimo dell’attrito tra quanto prima detto sulle antitesi del film: il mistero della vita che lentamente prende forma, da un lato, la piaga della dipendenza e della morte, dall’altro, il segno della croce (Maria ripresa all’interno della chiesa), con la comunione pagana a base di ovuli di cocaina.
La preparazione di questi ultimi, a iniziare dal materiale dal quale sono ricavati (le dita dei guanti di lattice), la loro ingestione (spalmati di olio), la loro espulsione (e dopo cosparsi di dentifricio), gli interrogatori della polizia negli aeroporti, le nausee, gli incidenti di percorso che colpiscono una mula, sono tutti elementi snocciolati con il comune denominatore di fornire uno spaccato, il più possibile realistico, di un mondo che sale alla ribalta della cronaca solo quando, come succede nel film, uno dei corrieri finisce col rimetterci la pelle.
Qualche pecca qua e là affiora, inutile nasconderlo: la brusca virata nel finale tesa a ottenere un surplus di pietà (la donna all’oscuro che la sorella è una mula), e una regia un po’ monotona troppo concentrata sui campi-controcampi, che come insegna Orson Welles, sono più quello che nascondono che quello che mostrano.
Comunque difetti trascurabili al confronto di ciò che il film sa offrire nei momenti riusciti.
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