Il 2007 è stato l’anno di un importante anniversario letterario, il cinquantenario della prima pubblicazione in volume, ad opera della casa editrice Garzanti, di Quer pasticciaccio brutto de via Merulana, capolavoro dello scrittore milanese Carlo Emilio Gadda.
Per celebrare questa occasione, la stessa casa editrice ha presentato una meravigliosa ristampa del libro con copertina cartonata e prefazione del noto critico letterario Pietro Citati.
Anche se la pubblicazione dell’opera in volume risale al ‘57, Gadda aveva cominciato a lavorarci già nel 1946, a Firenze, subito dopo la fine della Seconda Guerra Mondiale, nel ricordo di un lontano soggiorno a Roma.
La prima uscita del romanzo, rimasto incompiuto e ispirato ad un fatto di cronaca nera realmente accaduto, avvenuta a puntate sulla rivista Letteratura negli stessi anni, ebbe una diffusione molto limitata.
Solo dopo il trasferimento a Roma di Gadda come giornalista della RAI, l’editore Garzanti gli propone la pubblicazione in volume del libro che, una volta uscito, contribuisce a dargli un immediato successo.
Per questo motivo tra la prima versione e quella definitiva vi sono alcune differenze come: una diversa articolazione dei capitoli, con l’obiettivo di aumentare la tensione narrativa del racconto, e varianti al testo.
La vicenda, ambientata nella Roma fascista, prende le mosse da una rapina e da un successivo omicidio ai danni di Liliana Balducci che avvengono in un palazzo al numero 219 di via Merulana, una strada nel cuore di un vecchio quartiere popolare della capitale.
Nonostante l’inchiesta si allarghi in varie direzioni e interessi vari strati sociali, illustrati nel libro con grande forza espressiva, non si arriva all’identificazione di un colpevole.
Chiamato ad indagare sui due casi, forse collegati fra loro, è il commissario di origine molisana Francesco Ingravallo, altrimenti indicato come don Ciccio, uno dei più giovani e invidiati funzionari della sezione investigativa della polizia e amico dell’assassinata e del marito.
Questo personaggio, attraversato da passioni, incertezze, angosce che lo rendono vulnerabile e umano, non è il classico detective che scioglie l’enigma del delitto ricorrendo alle geometriche induzioni e deduzioni del raziocinio.
È invece un uomo immerso nella incoerenza del reale, che cerca tuttavia di afferrare nella sua contraddittoria interezza.
Gadda costruisce un intrigo poliziesco che gioca su un duplice registro: può essere letto, infatti, come eco del mondo e come bricolage letterario.
Attraverso l’uso di un registro linguistico tutto nuovo, Gadda si scaglia contro la società burocratica e ottusa della borghesia fascista ed i suoi falsi miti: in particolare, quello della famiglia, che, dietro l’aspetto solido, nasconde violenza e sopraffazione.
Oltre ai significati più strettamente filosofici del libro, colpisce e diverte il lettore anche lo stile letterario e il linguaggio di Gadda, la sua ricchezza lessicale ed espressiva, la scelta di parole sature di significato, di umori, di echi gergali e dialettali.
Tre infatti sono i dialetti che affiancano l’italiano nella narrazione della vicenda: il romano, il molisano, il napoletano, impiegati con perizia.
Il pastiche linguistico di Gadda inoltre, è completato da numerosi neologismi.
Le parole, con la loro etimologia complessa influenzano il punto di vista dei personaggi, non si limitano a indicare le cose ma ne esprimono l’essenza.
La complessità del linguaggio impiegato e le frequenti digressioni rendono la lettura a volte faticosa ed esigente.
A renderla più gradevole, a stemperare l’amarezza delle analisi, concorrono però l’umorismo, l’ironia, la comicità, di cui il libro è impregnato.
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