«Conoscete, naturalmente, il vecchio gioco Venti Domande? Sì? Certo. Quasi tutti lo conoscono. È un passatempo molto simpatico. Nessun’altra cosa può identificare in modo più chiaro le capacità intellettive di un uomo che un’analisi dei processi che lui usa, le sue inferenze e deduzioni per avvicinarsi alla risposta.
«Siamo d’accordo allora. Attraverso una serie di dieci domande basate sullo schema del gioco citato sono stato in grado di valutare le capacità di tutte le mie vittime, e così farò con voi».
«E come?» domandò Nasmyth, che lottava per controllare i nervi.
«Ecco qua: ho in mente una certa cosa, la stessa identica cosa che tutti gli altri hanno provato a indovinare, senza riuscirci. Potrete pormi dieci domande, in dieci giorni consecutivi per scoprire quale. Venti domande è un gioco da bambini. A un adulto ne bastano dieci.
«Sarò onesto con voi, dottore. Se indovinerete la cosa a cui penso, lo saprete subito e sarete prontamente rimesso in libertà. Se fallirete, avrò dimostrato la vostra inadeguatezza alla pratica medica, e io sarò dolorosamente costretto a somministrarvi il gas cianidrico e a veder volatilizzare il vostro corpo. Semplicemente, svanirete dalla società.
«A tempo debito New York sarà raggiunta dalla notizia della vostra scomparsa nel lago Vittoria o in un luogo del genere. Certo, ci sarà un qualche tipo di indagine, ma sarà presto chiusa e sparirete del tutto. La società umana si sarà liberata di un altro incompetente. Tutto qua, in fondo».
Nasmyth lo guardò pieno di disperazione.
«Così mi par di capire» rispose. «E quando avrà inizio quest’orribile gioco?»
«Già oggi, se volete. Prima è, meglio è. La sera mi sembra il momento più adatto. Facciamo alle nove e trenta?»
«Meglio le otto» replicò il prigioniero.
«Benissimo, alle otto allora. Tutto sistemato. Vi farò stare del tutto a vostro agio. Potrete mangiare e bere il meglio, fumare i miei sigari più pregiati, leggere quello che desidera. Con quel pulsante lì» indicò la parete, «mi potrete chiamare a qualunque ora. Sono certo che ci troveremo benissimo».
Rivolse alcune domande al medico riguardo ai suoi bisogni materiali, sbirciando dalle sbarre con un’espressione benevola sul suo viso asimmetrico.
Poi si ritirò, lasciando il prigioniero da solo a meditare con pensieri che fino a quel momento non aveva mai pensato di dover considerare.
IV
Inizialmente, lo sfortunato medico fu quasi sopraffatto dall’orrore della situazione. Rimase seduto, tremebondo, sulla coperta usata in precedenza da chissà quanti altri poveri colleghi, apparentemente ossessionato dalla presenza dei fantasmi che lo avevano preceduto in quella cella, tutti destinati - non diversamente da lui - all’annullamento per mano di un pazzo.
I suoi pensieri si attardarono sulle diverse fasi della tragedia e sul crimine più volte ripetuto. Dov’era, si chiese, la fornace per dissolvere il cadavere della vittima di turno e come operava? Quanto tempo era trascorso prima dell’eliminazione della vittima precedente?
Come era possibile che in una comunità umana così grande e civilizzata, degli esseri umani potessero essere adescati verso la morte e potessero essere eliminati dal mondo senza che questo mostruoso ricettacolo di delitti venisse scoperto?
Ora sapeva fin troppo bene che Varian aveva detto la verità riguardo a quelle scomparse. Per quanto i suoi pensieri fossero indubbiamente folli, il vecchio era tragicamente lucido per quanto riguardava i suoi progetti criminosi.
Poi pensò: possibile che l’assassino non abbia mai pensato alle conseguenze inevitabili del lasciar libera la vittima nel caso di risposta positiva all’enigma? Un’eventualità del genere avrebbe sicuramente comportato come minimo arresto e internamento per Varian, ma forse quel pazzoide, come caratteristica del suo delirio di onnipotenza, non aveva mai neppure pensato a quell’evenienza.
Oppure, anche in caso di successo della vittima, quell’uomo avrebbe proseguito nel suo intento delittuoso e avrebbe infranto la promessa uccidendo il prigioniero?
Riflettendo su questo probabile esito del confronto, il prigioniero fu sopraffatto da una cupa disperazione e per qualche tempo si lasciò andare allo sconforto del senza speranza. Ma piano piano, via via che la ragione iniziava a riprendere il controllo e il suo disagio fisico a diminuire, subentrò una reazione e i suoi pensieri alimentarono nuovamente pur tenui speranze.
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