Nasmyth non riuscì a trovare una risposta adeguata a una tale totale sfrontatezza. Così, fissò in silenzio il vecchio, seduto su di una sedia vicino alla gabbia che lo guardava con lo sguardo vagamente incuriosito di uno scienziato davanti a un esperimento. Per un istante il prigioniero e il carceriere si contemplarono l’un l’altro in quello strano luogo.
Ed effettivamente lo era: la prigione pareva una specie di cantina, divisa in mezzo da una fila di sbarre d’acciaio. La luce filtrava attraverso due finestre collocate all’estremità della stanza, alle spalle di Varian; i vetri delle finestre erano opachi e impedivano di vedere l’esterno. Accanto alle finestre c’era un tavolo pieno di libri, fogli e materiale per scrittura. A sinistra c’era una porta dalle finiture metalliche con una chiusura a combinazione; era l’unica uscita dal posto. Sopra il tavolo stava appeso un piccolo orologio a pendolo.
La gabbia non aveva alcun tipo di mobilio, se non i più elementari arredi nipponici, nessuno dei quali poteva essere usato come arma o attrezzo per uscire da quella prigione. Accanto alla coperta c’era un piccolo tavolino da tè in acero laccato, dotato di carta e matita; un lavandino e una caraffa di un materiale simile a carta impermeabilizzata completavano l’arredo.
Una lampadina scendeva dal soffitto abbastanza vicino alla gabbia da poter fornire luce durante la notte, ma sufficientemente distante dalle sbarre da non poter essere raggiunta da chi si trovava all’interno. Evidentemente Varian non aveva alcuna intenzione di fornire alla sua vittima il pur minimo pezzo di vetro.
Attraverso la luce soffusa che penetrava dalle finestre, il medico continuava a fissare stolido il suo carceriere. Fu subito in grado di riconoscere l’espressione di interesse impersonale sul viso del vecchio, del tutto simile a quella che lui stesso aveva assunto più volte davanti a una patologia sconosciuta e interessante.
Un’indagine sommaria dell’uomo lo convinse come fosse lucido e terribilmente pericoloso. Non ebbe il minimo dubbio, non appena la sua testa fu abbastanza sveglia da focalizzare il problema, di trovarsi davanti a un caso di pazzia, accompagnata probabilmente da manie omicide.
Motivazioni quali ricatto, rapimento per ottenere un riscatto o cose del genere erano da escludersi; riguardo poi a vendette personali, quale poteva esserne il motivo? Nasmyth non aveva mai conosciuto né sentito nominare Varian fino alla sera precedente.
Si convinse che quello seduto davanti a lui sulla sedia fosse semplicemente un folle, e di quelli più sinistri, data la sua cultura e intelligenza. Nasmyth sentiva che sarebbe stato capace di giocare d’astuzia con un bruto, un demente, ma questo anziano gentiluomo dall’aria professorale, dall’occhio attento e il tono di voce controllato non si sarebbe certo lasciato fregare con qualche stratagemma lessicale.
Non era in grado di determinare il problema da affrontare, ma era del tutto convinto che si sarebbe rivelato pressante e carico di pericoli.
Era terrorizzato. Non era mai stato così male in vita sua, mai così preda di una paura istintiva. Ogni uomo di medicina deve essere capace di fronteggiare la morte nel corso della professione, e in quelle circostanze non la si teme, se si vuole essere degni del titolo conseguito. Ma diventare la cavia destinata a morte certa nella gabbia sotterranea di un pazzoide lunatico è tutta un’altra storia.
Varian, visti il pallore e gli occhi spiritati del medico, rimase in silenzio per un minuto, limitandosi a un eloquente sorriso, il cui significato era «codardo!»
Quell’atteggiamento, però, infiammò il dottore e lo spinse fuori dalle sue paure. In un attimo fu in grado di riprendere il controllo dei nervi fino sentirsi insolitamente rilassato.
«Mi sembra che godiate di un certo vantaggio» ammise. «Mi avete preso, eccomi. Non so il perché, però. Che si tratti di un errore di persona? Forse mi avete scambiato per qualcun altro? O forse il motivo che vi spinge è un altro. Qualunque esso sia, ho il diritto di conoscerlo!»
Varian, colpito da quella logica, annuì in modo assente. Il medico si accorse allora per la prima volta di come il volto del vecchio fosse percettibilmente asimmetrico, il teschio plagiocefalico, e la sua espressione indicativa di un sicuro squilibrio mentale, per quanto appena accennato. Barba e occhiali aiutavano a nasconderlo, ma Nasmyth sapeva che la sua diagnosi era giusta.
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