Io c’ero... non vi sembri un vezzo da narratore (sì, un po’ lo è...) ma la presenza di Stefano Di Marino tra i partecipanti al ricevimento sul ristorante Jumbo la notte del 30 giugno 1997 in cui Hong Kong passò alla madrepatria non è (del tutto) una esagerazione.
Era un periodo in cui andavo spesso in Oriente; in pieno trip del cinema di Hong Kong ero andato diverse volte a incontrare personaggi del cinema locale. Ricordo di aver incontrato Chingamy Yau, di aver parlato con responsabili della Shaw che, all’epoca, non aveva neanche gli archivi di tutte le pellicole storiche. In breve Hong Kong, malgrado avesse appena superato l’epoca d’oro della sua notorietà cinematografica, ancora non ne era consapevole. Io, però, ero lì a coglierne l’atmosfera, a inventarmi delle storie che erano una strana commistione tra i classici degli anni ’70 (I tre dell’Operazione Drago, Il Drago di Hong Kong, L’uomo dalla pistola d’oro e tanti altri) e le magnifiche sparatorie di John Woo che avevano cambiato qualche anno prima il mio modo di concepire l’azione e quindi anche di scriverla.
Morire a Kowloon è anche la base per futuri cicli di avventure, segna la comparsa di Nastassja che, malgrado tutto, finiva per indagare sul mostro di Rostov anche dopo la caduta del Muro, ma a quell’epoca i legami tra gli Stati Indipendenti della federazione Russa erano più stretti e l’Ucraina non si era così distaccata dalla Russia (calcolando poi che i suoi crimini si estendevano sino a San Pietroburgo).
Anita Mui ovviamente. Bellissima, brava, spregiudicata (i fattacci tra lei e le triadi raccontati nel libro sono più che reali...) Anita che da lì a pochi anni si sarebbe spenta in occasione di un’altra mia visita a Hong Kong. Uccisa a 40 anni da un tumore al cervello. Ricordo quando lessi la notizia il 30 gennaio 203. Kowloon si riempì di rotocalchi e giornali. La gente l’amava ancora moltissimo. La gente di Kowloon, quella stessa città che tutti temevano di dover fuggire allo scadere del contratto dei 99 anni ma che, ancora oggi è lì, con le sue tradizioni millenarie, la frenetica corsa al guadagno, le scuole di kung fu arrampicate sui grattacieli, gli alberghi e le saune di extralusso e i vicoli di Mongkog. Un universo sognato, un mondo reale e immaginario al tempo stesso in cui sono cresciuto. E Chance Renard con me.
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