Dopo aver conquistato i lettori con Il libro segreto di Dante (2011) ed aver stuzzicato gli appassionati di “arte e misteri” con Il quadro segreto di Caravaggio (2012), Francesco Fioretti torna al sommo poeta fiorentino con un altro thriller di ambientazione storica: La profezia perduta di Dante. Sempre targato Newton Compton.

Lo abbiamo incontrato per parlarne.

    

A due anni esatti da “Il libro segreto di Dante” torni ad incantare i lettori con una storia nell’Italia due-trecentesca: trovi sia un periodo storico fertile per un romanziere?

Un’epoca perfetta per ambientare i nostri miti di fondazione: è l’inizio della storia moderna, per noi italiani corrisponde all’incirca a ciò che per gli americani è il Far West, un’epoca in cui ancora tutto è possibile, anche se poi sappiamo che strada prenderà la storia d’Italia e d’Europa. Così si può ammiccare al lettore di oggi, che conosce l’esito degli eventi e sa quale idea dei personaggi sarà premiata dalla storia, e al tempo stesso si può indurlo a riflettere sul peso in generale delle idee e delle azioni, su ciò che passa e su ciò che resta...

    

Stavolta protagonisti del romanzo sono due giovani amici “investigatori” molto sui generis: come ti sei trovato a gestire la coppia Dante-Guido?

Difficilissimo, ma bellissimo. Sono due personaggi straordinari, dalla loro amicizia comincia tutto, la poesia italiana, la nostra lingua, e il linguaggio moderno dell’amore. Guido ha dieci anni più di Dante, all’inizio è lui il leader, poi superato dal “discepolo”: così nella finzione narrativa all’inizio è Cavalcanti a gestire l’inchiesta, ma poi è Dante a risolverla, i ruoli classici di Sherlock e Watson si invertono nel finale. Sono personaggi unici, la difficoltà era riuscire a gestirli evitando due rischi opposti: da una parte quello di banalizzarli riducendone la lingua a quella di due uomini comuni, dall’altro quello di caratterizzarne al dettaglio l’eccezionale statura col risultato di rendere il romanzo illeggibile al lettore moderno.

    

L’anno scorso ci hai raccontato del “Quadro segreto di Caravaggio”: è stato impegnativo trattare due grandi nomi dell’arte italiana, così diversi fra loro?

Impegnativo lo è sempre, in più è molto rischioso, perché se non si entra in perfetta sintonia col personaggio si corre il pericolo di uscire completamente fuori strada. Ho trattato due (con Cavalcanti tre) personaggi di cui studio le opere da anni, di cui mi affascina la potenza espressiva e la forza creativa da quando ero un adolescente, e questo mi ha facilitato le cose. Paradossalmente con Caravaggio è stato quasi più semplice che per Dante e Guido, di cui sono anche uno studioso.

    

Dante Alighieri è un personaggio che molti hanno usato per trame “misteriche”: cosa c’è secondo te nella Commedia che fa sbizzarrire i romanzieri?

Nella Commedia c’è tutto, il mondo intero proiettato nell’aldilà, è la summa di tutte le scelte esistenziali possibili, il romanzo dei romanzi, vite intere raccontate in pochi versi: non c’è che da scegliere. E il Paradiso è un dizionario di simbologia, che scatena l’immaginario degli esoteristi di tutti i tempi.

    

Immagina che la Newton ti dia carta bianca per una collana dedicata a Dante: sceglieresti di pubblicare più romanzi o più saggi?

Il libro segreto di Dante
Il libro segreto di Dante
Più romanzi, per il bene dell’editore.

    

Immagina che traggano un film dal tuo romanzo: chi ci vedresti nel ruolo di Dante e Guido? Essendo un’ipotesi, possono anche essere attori non “disponibili”.

Cavalcanti lo immagino simile a Benigni, sottile, arguto e, come ce lo descrive Boccaccio, «leggerissimo», tanto agile da saltare a piè pari appoggiato su una mano un’arca sepolcrale davanti al Battistero per sfuggire a un gruppo di provocatori. Un Benigni appena un po’ felliniano, forse. Per Dante ventenne ci vorrebbe un attore giovane o abilmente “ringiovanito”. Mi viene in mente Filippo Nigro, il volto di Dante come risulterebbe dalle recenti ricostruzioni scientifiche (www.repubblica.it/2006/08/gallerie/spettacoliecultura/volto-dante/) è molto più regolare di quanto non ci abbia tramandato l’iconografia tradizionale, accentuando e rendendo quasi caricaturali i tratti di una descrizione boccacciana. Ovviamente è un’ipotesi poco realistica, entrambi hanno altro da fare. Benigni farà un film dantesco prima o poi, di sicuro non lo ricaverà dal mio romanzo. Quindi mi conviene, semmai, restare a disposizione dell’eventuale concorrenza...

    

Per finire, la consueta domanda su progetti futuri: tornerà Dante in un qualche tuo prossimo romanzo?

Forse riuscirò a completare la trilogia dantesca che mi ero riproposto all’inizio, ma mi tenta anche la sfida di un romanzo ambientato nell’Italia di oggi. In ogni caso Dante tornerà, il maestro è nell’anima, come diceva una vecchia canzone di Paolo Conte.