Be’, se esistesse per davvero un Dio del cinema, qualunque fosse la sua natura, dalla più snob alla più popolare, chissà se perdonerebbe mai Nicolas Winding Refn per il suo Solo Dio perdona giovane sì, ma che sembra già aver smarrito tutto quello che di buono aveva lasciato intravedere almeno fino a Bronson (ma il migliore rimane Valhalla Rising…).
Quale (visto il titolo...) il peccato capitale? Quello di imprimere al film un’aria talmente algida, assecondata in questo dall’ancora più algido e catatonico Ryan Gosling, da seppellire qualsiasi seppur seppur timido coinvolgimento emozionale con la storia stessa e i suoi protagonisti, qualunque briciolo di pietà (magari per le vittime…), la più minima riflessione sul destino dei perdenti e su quello dei vincitori (falsi), trascinandosi dietro persino il tema, per niente scontato, dell’espiazione.
Catatonico il film nel suo incedere e catatonici noi spettatori, condannati dall’etica inflessibile che ci demmo tanti anni fa ad assistere alle perizie di un fratello che se ne laverebbe volentieri le mani del fratellaccio andato e invece gli tocca vendicarlo perché sennò chi se la sente la madre vipera (Kristin Scott Thomas )?
Bagni di sangue (ma si potrebbe dire anche “una Cambogia”…) che nulla aggiungono e nulla tolgono alla rappresentazione della violenz vista fin qua.
Un unico merito: Vithaya Pansringarm, un villain poliziotto di stratosferica indole, capace con uno sguardo di smuovere montagne. Lui sì un indimenticabile.
Lo rivedremo presto…
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