Roma, vita notturna, salotti, “bella gente”. Subito viene in mente Federico Fellini: metterlo a paragone con Paolo Sorrentino, sovrapporre i due registi, sarebbe suggestivo ma, alla fine, risulterebbe solo un inutile esercizio intellettuale. Potrebbe essere interessante considerare La dolce vita e La grande bellezza semplicemente in sequenza temporale, pensando a cosa è successo – o cosa non è successo – per portarci dall'apice edonista di un'esplosione economica al fondo di una sottocultura nichilista e senza speranza.
Una risposta, suo malgrado, la offre il protagonista Jep Gambardella, giornalista e scrittore, proponendo allo spettatore la sua personale galleria di freak, che nulla ha da invidiare a quella di Tod Browning: imprenditori erotomani, scrittrici di partito, scribacchini di provincia, padri e madri di figli divorati dalla depressione e dalla nevrosi, alti prelati col pallino della cucina e sante mangiatrici di radici. Tutti posti sul piedistallo di una Roma irreale, quasi onirica.
Sorrentino mantiene inalterata la sua cifra stilistica e drammaturgica – sintetizzata dalle epiche e tragiche débâcle psichiche dei suoi personaggi – proseguendo sulla strada della destrutturazione narrativa che, dai lineari giochi di rimandi de L'uomo in più, l'ha portato attraverso i film successivi alla caotica e al contempo efficace galleria di personaggi de La grande bellezza.
Il prossimo film sarà per il regista napoletano cruciale quanto rischioso: continuerà a esplorare le proprie ossessioni attraverso il suo talento alla regia o tornerà a regalare al pubblico nuove e inquietanti Conseguenze dell'amore? Probabilmente nessuna delle due. L'attesa, in ogni caso, è quella che si riserva ai grandi registi.
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