Nella puntata precedente abbiamo incontrato Patrol, il romanzo del 1927 dell’ex ufficiale Philip MacDonald che ha dato la scintilla ad alcune delle migliori storie di assedio del cinema: nel 1934 infatti diventa il film La pattuglia sperduta (The Lost Patrol) di John Ford.
Non si sa quale dei due, tra il romanzo e il film, sia arrivato prima nell’Unione Sovietica – probabilmente la pellicola di Ford – ma sta di fatto che il cinema sovietico non ha bisogno di andare fino in Mesopotamia per trovare un deserto e dei nemici musulmani: decide quindi di farne una propria rielaborazione.
Avvicinandosi il ventesimo anniversario della Rivoluzione, viene affidato al giovane regista semi-esordiente Mikhail Il’ič Romm l’incarico di girare una pellicola che esalti le qualità dell’Armata Rossa e ne racconti il coraggio anche nelle situazioni più difficili. Romm all’epoca ha un solo film all’attivo, Pyška (Пышка, 1934), che è anche l’ultimo film muto della cinematografia sovietica: la “fritella” del titolo è il nomignolo della donna protagonista, ispirata ad un racconto di Maupassant (di cui avremo modo in futuro di riparlare.) Per la sceneggiatura Romm si affianca a Iosif Leonidovič Prut, drammaturgo ex ufficiale da sempre molto vicino agli ambienti militari, e il risultato è il piccolo film di culto Trinadtsat’ (Тринадцать, 1936).
Il regista di Irkutsk (Siberia) va a dirigere in uno dei deserti più “caldi” del periodo: il Karakum, nel Turkmenistan, che fino a qualche anno prima era stato teatro di accesi scontri fra l’Armata Rossa e i ribelli Bismachi (i turchi musulmani ostili all’Unione Sovietica). Il film inizia proprio come la Lost Patrol di Ford: dieci soldati che vagano per un deserto ostile. Ma poi Romm aggiunge subito qualcosa per prendere le distanze e far capire che ci ha aggiunto del suo: al manipolo di uomini si è aggiunto un comandante di frontiera, sua moglie e un geologo. Ecco arrivati a tredici, il titolo originale del film.
La pattuglia è composta di soldati che stanno tornando a casa, i quali accettano di buon grado di essere guidati dal comandante Ivan Zhuravlev (Ivan Novoseltsev), sebbene questi e sua moglie siano in vacanza. Non è una situazione critica, ma quando scoprono con raccapriccio che i pozzi conosciuti sono tutti secchi il problema si fa pressante: manca l’acqua e la sopravvivenza si fa a rischio.
Arrivati in un pozzo conosciuto, fra le rovine di una vecchia tomba, invece dell’acqua scoprono armi nuove e fiammanti: quello dev’essere uno dei covi del pericoloso Shirmat Khan, il capo dei ribelli Bismachi. Sotto le armi però un refolo d’acqua scorre ancora, e gli uomini si accampano. La pace non dura molto, perché duecento ribelli arrivano silenziosamente e li prendono d’assedio: inizia una lunga e delicatissima guerra psicologica in cui il comandante Zhuravlev fa credere al portavoce dei ribelli di avere tanta acqua, mentre loro soffrono la sete, e di essere disposto a trattare.
Come si vede l’opera di Romm si discosta dalla storia di MacDonald-Ford, ma rimane intatto lo spirito: l’assedio nel mezzo del deserto, con la disperazione che gli aiuti non arriveranno mai, la difficile convivenza di soldati provenienti da luoghi diversi e con mentalità diverse, il nemico ignoto e quindi onnipresente. Mentre però gli uomini della Pattuglia sperduta sono vittime impotenti degli sviluppi della storia, qui invece l’astuzia del comandante rende il manipolo di uomini i veri artefici del loro destino, con idee e trovate sempre nuove per resistere alla dura realtà di essere in tredici contro duecento.
Solo dopo la fine della Seconda guerra mondiale l’Italia ha potuto conoscere il regista siberiano, ribattezzato per l’occasione Michele Romm, e il film Trinadtsat’ è stato distribuito dalla Titanus nelle nostre sale il 25 agosto 1947 con il titolo Sangue sulla sabbia, seguito dal semplice sottotitolo I tredici. Rimane in programmazione circa sei mesi, fra prime e seconde visioni, ma poi è praticamente dimenticato dopo che sono arrivati i titoli più “politici” di Romm, come il suo Lenin in ottobre.
Il resto del mondo invece apprezza sin da subito la pellicola, e molti registi e sceneggiatori se ne lasciano contagiare... più di quanto si pensi!
Nell’ottobre 1937 all’Esposizione Universale di Parigi c’è un padiglione dedicato alla cinematografia sovietica: qui viene proiettato Trinadtsat’ di Romm. La visione del film ispira il regista argentino José María Beltrán, che in questo periodo vive nella capitale francese, e gli fa iniziare nel 1938 il progetto (mai portato a termine) di un cortometraggio dal titolo La división perdida. Ma non finisce qui il “contagio” dell’opera di Romm.
Agli inizi degli anni Quaranta l’ideologia comunista trova molto seguito negli Stati Uniti, e visto che solo alla fine del decennio arriverà Joseph McCarthy e la sua “caccia alle streghe”, non è ancora pericoloso per chi lavora ad Hollywood dichiarare le proprie convinzioni politiche. In questo periodo John Howard Lawson può ancora essere un nome di grande rilievo nella “comunità comunista” di Hollywood, sebbene sia schedato dall’FBI come «leading Communist» e sia in attesa di essere cacciato via nel 1947, grazie all’avvento del maccartismo.
Quando la Columbia commissiona a Lawson la sceneggiatura di un film di guerra, la scelta è presto fatta: questi prende la sceneggiatura del Trinadtsat’ di Romm e la trasforma nel film Sahara, uno dei più grandi successi di botteghino del 1943. Ma l’argomento merita di essere approfondito nella prossima puntata.
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