Il cervello da un miliardo di dollari (Billion Dollar Brain, 1967) è un film curioso, anomalo sia per il genere che per la serie dedicata ad Harry Palmer. Di fatto segnò l’epilogo temporaneo delle trasposizioni dei romanzi di Len Deighton che dovranno aspettare gli anni ’90 per proseguire in TV.

Fondamentalmente credo che il problema sia stata la scelta del regista Ken Russell, autore bizzarro, con una fortissima personalità, di certo schivo dalle logiche di “serie” che anche le avventure di Harry Palmer necessitavano. Se da un lato strizziamo sempre più l’occhio a James Bond (basti guardare la sequenza dei titoli di testa realizzata dallo stesso Maurice Binder) c’è un risvolto grottesco che sicuramente non è risultato gradito agli amanti del genere, disposti a seguire l’eroe in avventure meno glamour di quelle del personaggio di Ian Fleming ma non in una farsa il cui tema politico diventa preponderante. Eppure, rivedendolo oggi Billion Dollar Brain è un riuscitissimo film di spionaggio, per vari motivi.

La storia, il soggetto cioè, è un vicenda spionistica che se a tratti vira sul surreale toccando punte che l’avvicinano a Il dottor Stranamore (i monologhi del generale Midwinter sono piccoli capolavori in proposito ma anche la scena del colonnello Stok in mutande contribuisce non poco) di per sé segue le linee guida del filone. Il tono non è neanche stabilito dalla sceneggiatura quanto dalla direzione, dal taglio delle immagini con cui Russell trasforma una spy story in un film allegorico. E questo al pubblico non è piaciuto.

              

La trama, come dicevamo, è invece nel suo assunto tipicamente inserita nella linea iniziata con Ipcress. Palmer, da tempo fuori dal servizio, campa facendo l’investigatore privato. Si occupa più che altro di casi di adulterio e non sempre con fortuna come testimoniano alcuni scatti in cui si vede un marito furioso che lo prende a pugni. Vive in una stamberga ma non ama intrusioni. Così quando il suo vecchio capo, il colonnello Ross, lo prega di rientrare in servizio lo caccia via. Accetta però grazie a un generoso anticipo di trasportare un misterioso thermos in Finlandia.

Karl Malden e Michael Caine
Karl Malden e Michael Caine
Considerato che è sempre un agente esperto scopre che nel contenitore sigillato sono custodite sei uova contenenti delle colture di virus. Qui l’affare si ingarbuglia. Il dottor Kaarna, il suo contatto, è passato a miglior vita. Non solo, ritroviamo Ross che accusa Palmer di averlo ucciso. O meglio, lo ricatta perché prenda il suo posto. Kaarna infatti era un infiltrato dell’MI6 in un’organizzazione nota come Crociata per la Libertà finanziata da un folle petroliere americano, il generale Midwinter (il cui logo ricorda quello delle SS) che sogna di invadere la Russia con un esercito privato cominciando con una sollevazione in Lituania. Il vero problema Harry lo scopre ai suoi primi contatti in Finlandia.

Malgrado disponga di un costosissimo computer Honeywell, Midwinter è un visionario ed è stato giocato. L’uomo che ha incaricato Palmer di trasportare i virus infatti è il suo vecchio compagno Leo Newbigen (un grandissimo Karl Malden) che ha spillato al povero illuso un milione di dollari fingendo l’esistenza di una rete di spie e sabotatori lituani che invece si riduce in un manipolo di smandrappati banditi che cadono sotto i colpi di mitra al primo scontro. Dietro a tutto c’è infatti il colonnello Stok, vecchia conoscenza di Harry dai tempi di Funerale a Berlino e la sua agente Anya (Françoise Dorléac) che è l’amante (e la vera debolezza) di Leo.

           

Comincia così un convincente gioco al rimpiattino sullo sfondo di un Baltico gelato reso sempre con la spettacolarità richiesta. Casomai la storia comincia a prendere una deriva grottesca al quartier generale di Midwinter nel quale Palmer assiste alle deliranti dichiarazioni d’intenti del generale.

Come dicevamo siamo qui più nel territorio del dottor Stranamore che di 007. L’esercito imbarcato su autoarticolati di Midwinter è sicuramente un colpo d’occhio spettacolare ma, alla fine, risulta eccessivo per il tono più realistico delle avventure di Palmer. Stride, sembra (e sicuramente nelle intenzioni di Russell lo era) una parodia del genere. Senza forzare la sceneggiatura che procede comunque in maniera piuttosto serrata e drammatica, la storia abbandona sempre più i binari della verosimiglianza per trasformarsi in una farsa. Farsa tragica, contrappuntata dallo sguardo disilluso di Palmer che vede la morte del suo ex amico con dispiacere anche se ha cercato di ucciderlo.

Il rapporto con la stessa Anya è ambiguo. Lei è un’agente russa, un’amante infedele, tenta di infilargli uno spillone nella schiena eppure da certi sguardi un po’ lo ama. È importante tenere a mente questo personaggio e studiarne le sue interazioni con Palmer perché saranno riprese in uno dei due film televisivi successivi, All’inseguimento della morte rossa. Di questo riparleremo.

            

Il film si chiude (prima del siparietto comico con Ross) con una spettacolare scena di battaglia che però non ha niente di eroico. Palmer a stento salva la pelle, non compie atti di coraggio. Può solo cercare di impedire il massacro delle truppe di Midwinter che finiscono nel fondo del baltico gelato con una non casuale somiglianza con la fine dei cavalieri teutonici sul lago Peipus dell’Aleksandr Nevskij.

Russell riesce a girare quindi una sceneggiatura classica tingendola di sfumature “kemp”, pop tipiche del suo cinema attuando così una delle regole principali dello spionaggio: la deception. Senz’altro verso i suoi produttori che si ritroveranno un prodotto finito ormai immutabile da distribuire in sala. Gli appassionati però, non gliela perdoneranno.