Manuela Salvi è un autrice per l’infanzia vera e sincera. Una che crede veramente nel suo lavoro, e nell’immensa importanza e dignità dello scrivere per ragazzi. Per seguire la sua vocazione e sperimentare nuove vie ha deciso da poco di trasferirsi a Londra, e da lì è ospite della nostra rubrica e ha accettato di rispondere alle nostre impertinenti domande.
Manuela ha scritto per diverse fasce di età passando dagli albi illustrati agli young adult, affrontando nelle sue storie temi spesso difficili, come l’omosessualità e la criminalità, il tutto sempre con coraggio e originalità. Tra le ultime sue fatiche letterarie i romanzi E sarà bello morire insieme (Mondadori, 2011), in cui narra una storia d’amore che si intreccia con la camorra (il libro è stato recentemente pubblicato anche in Spagna e Germania), e Neanche un bacio prima di andare a letto (Mondadori, 2012). E’ autrice anche della serie dei I romanzi del Professor Focussen (Mondadori/Focus Junoir - in coppia con Alessandro Gatti). Ultimissima uscita il manuale illustrato Come diventare supereroi. Manuale per bambini e bambine super senza superpoteri (San Paolo edizioni, 2013).
Quali sono i super poteri di uno scrittore per ragazzi?
La supervista! Lo scrittore per ragazzi vede cose che nessun altro riesce a vedere, riesce a trovare il Bambino Che Fu anche nell’adulto più “adultoso” che ci sia, e conosce mondi possibili che sarebbero a portata di mano se solo tutti possedessero la Supervista!
Cosa ti ha spinto a trasferirti a Londra?
Il rispetto che hanno qui per chi fa il mio mestiere e per la letteratura per ragazzi. È considerata socialmente e culturalmente fondamentale. Infatti, se ricordate, era stata inclusa nella cerimonia di apertura delle Olimpiadi tra le cose rappresentative dell’Inghilterra.
Qual è lo stato della narrativa italiana per l’infanzia? E quali sono le differenze con quella britannica?
Sono molto critica nei confronti del mio Paese in questo periodo, credo che la nostra letteratura per l’infanzia sia bigotta, intrisa di buonismi televisivi e falsità da Romanticismo all’acqua di rose. Non siamo competitivi a livello internazionale perché la letteratura che produciamo è di regime: non racconta la verità, ma quello che comunemente nel nostro Paese si considera verità desiderabile. Perciò si esclude qualsiasi tipo di scomoda diversità, ovvero ciò che di solito è la materia prima della letteratura. I nostri “gate keepers” (insegnanti, genitori, critici) sono spesso disinformati, chiusi e autoreferenziali. Nessuno guarda al futuro, tutti rimpiangono un passato da Libro Cuore che, tra l’altro, non è mai esistito veramente. Ma il problema vero è che è difficile individuare le cause di tutto questo, perché gli autori sono spesso soggetti a censure da parte di editori che a loro volta devono rendere conto a genitori o insegnanti che non vogliono affrontare certi argomenti perché il nostro sistema culturale in questi ultimi anni ci ha abituati all’ipocrisia.
La narrativa britannica è un’altra storia. Qui hanno una parola che significa sia “impegnativo” che “provocatorio”: challenging. È la mia parola preferita. Se la letteratura non è challenging, non è letteratura, è intrattenimento, didattica, divulgazione di regime, ma non letteratura. Qui le idee nuove mediamente non vengono respinte ma studiate, analizzate e assorbite. Un libro può essere addirittura bandito dalle scuole perché eccessivo (come successe a Melvin Burgess) ma poi il sistema lo digerisce, lo rielabora, lo accetta. E si va avanti. Una volta sul Times ho letto un articolo riferito a un libro per ragazzi trasgressivo, il giornalista diceva: “Se è buona letteratura, per il resto FIDATEVI DEGLI AUTORI”. Fidatevi degli autori. Loro sanno quello che fanno e il loro ruolo sociale è fondamentale. Per chi fa il mio mestiere, è meraviglioso.
Che peso ha il mistero nelle tue trame?
Cerco il mistero nella realtà. Non amo molto il fantasy perché penso che il fantastico sia intorno a noi, che ci siano milioni di mondi inesplorati che ci passano sotto il naso e che ignoriamo. Trovo che gli esseri umani, nonostante da adulti si sforzino di rientrare in quella che viene definita normalità, siano pieni di segreti, misteri, ombre. Ecco, mi piace ficcanasare in quei territori nascosti dell’animo umano.
Sulla tua pagine internet compare una copia della lettera che La Mursia ti scrisse quando avevi 13 anni in seguito all’invio del tuo primo romanzo. Gli insuccessi quanto rafforzano l’animo del vero scrittore?
L’insuccesso ti scoraggia o ti spinge ad agire. Dipende molto dal carattere e da quanto la scrittura sia radicata e indispensabile proprio per vivere. Per uno scrittore l’insuccesso è terribile perché significa che a nessuno interessa quello che scrive, perciò farci i conti non è affatto facile. Certo è che tutti dobbiamo affrontare il fallimento, nella vita, e per me non c’è altro modo che cercare di migliorarsi.
In molti tuoi romanzi vengono trattati argomenti attuali quali l’omosessualità, la violenza, la mafia ecc… qual è la potenzialità educativa della scrittura?
Più che di educazione parlerei di esperienza. Un libro non educa, ti permette di vivere un’esperienza anche estrema senza pagarne le conseguenze. Ti permette di esplorare il mondo e di capirlo senza correre rischi veri (se non quello che ti si apra troppo la mente...) e questo nella letteratura per ragazzi è più importante che in quella per adulti. Mi piacciono gli argomenti considerati forti perché fanno parte della nostra vita ma gli adulti cercano comunque di insabbiarli, e allora con i ragazzi qualcuno ci deve parlare, e credo che questo qualcuno sia appunto lo scrittore. Da ragazzina lessi “Noi, i ragazzi dello zoo di Berlino” con avidità, mi piaceva toccare il fondo insieme a Christiane F, vedere cosa accade in certi ambienti degradati, ma credo anche che la droga non mi sia apparsa mai “figa” o trasgressiva proprio perché avevo letto quel libro. È una sensazione che non ho dimenticato e che ricerco nelle mie storie.
Come scegli i tuoi collaboratori per la stesura di romanzi a più mani?
In realtà ne ho solo uno: Alessandro Gatti! Il destino ci fece incontrare grazie alla serie dei Wrestlords e da allora continuiamo a fare delle cose insieme quando capita il progetto giusto. Con Alessandro mi sono sempre trovata bene perché ci completiamo e condividiamo un certo gusto per l’ironia.
Qual è il protagonista dei tuoi romanzi che più ti appartiene?
Sono tutti figli miei, ma credo Zaff (Nei panni di Zaff, Fatatrac) e Manuel (E sarà bello morire insieme, Mondadori) sono più vicini al mio sentire perché sono fatti di sfumature, sono prismatici. Zaff è maschio ma vuole fare la principessa, Manuel ha un destino di violenza davanti a cui rinuncia ma non del tutto. Luci e ombre per me rendono persone e personaggi affascinanti.
Qual è la lezione più importante che hai imparato da un tuo piccolo lettore?
Una bambina una volta mi disse: “Tu che sei scrittrice, perché non uccidi tutte quelle principesse?”. Mi fece scoppiare a ridere perché, davvero, se potessi le farei saltare in aria in blocco e quella bambina sembrava non poterne più, esattamente come me. Il fatto è che quello che per noi è solo un libro, solo una storia, solo un personaggio – che danni fa? lo hanno letto decine di generazioni, che vuoi che sia? – per un bambino o una bambina diventa modello, esempio, simbolo. E certi modelli possono essere opprimenti.
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