Le recenti elezioni hanno portato alla luce un problema che esiste sin da quando esiste la politica: chiunque vinca alla fine dovrà andare a braccetto con qualche suo avversario. Qualche giornalista o politico rispolvererà in questi giorni la frase classica che si usa in questi casi, un antico adagio mai passato di moda: la politica crea strani compagni di letto.
È un’antica verità che prima i candidati si sbranano e poi si stringono la mano con ampi sorrisi, perché altrimenti non potrebbero governare. In attesa che il concetto venga ripetuto nei giornali e in TV, è il caso di dedicare alla frase una “indagine libraria non autorizzata”.
«Le avversità fanno accettare all’uomo strani compagni di letto» (Adversity brings a man acquainted with strange bedfellows): questo “vecchio proverbio”, come lo definisce l’autore stesso, lo ritroviamo come titolo del capitolo XLII de Il circolo Pickwick (The Posthumous Papers of the Pickwick Club), scritto nel 1836 dal giovane esordiente Charles Dickens. La frase non è spiegata, così come non è spiegata l’espressione che lo spagnolo Manuel Vázquez Montalbán utilizza molto più recentemente, nel romanzo L’uomo della mia vita (El hombre de mi vida, 2000): «La politica genera strani compagni di letto».
Come si può notare, queste due citazioni differiscono in modo profondo: dalle “avversità” di Dickens si è arrivati alla “politica” di Montalbán: cos’è successo nel frattempo? Per capirlo dobbiamo risalire alle origini dell’espressione.
Il padre di questa come di tante altre espressioni discorsive è il solito William Shakespeare, o chiunque intorno al 1610 abbia scritto La tempesta firmandosi con quel nome. In questo dramma, nella seconda scena del secondo atto troviamo il personaggio di Trinculo che - come capita molto spesso anche ai partiti italiani - per superare un uragano in arrivo è costretto ad allearsi con chi disprezza: l’orripilante Calibano. Turandosi il naso - sport nazionale italiano! - afferma: «Misery acquaints a man with strange bed-fellows».
«La sventura accoppia l’uomo con istrani compagni di letto» traduce Carlo Rusconi nel 1852; «La sventura costringe l’uomo a far la conoscenza di ben strani compagni di letto» traduce Gabriele Baldini nel 1963; mentre è deliziosa la versione di Giulio Carcano del 1858: «Strani sozj in letto pone all’uom la miseria.» Per i 150 anni successivi la frase intera è parte integrante della lingua inglese, ma all’inizio dell’Ottocento qualcosa cambia: qualcuno osa parafrasare il Grande Bardo.
«Posso solo dire che la poitica, come la sventura, “costringe un uomo a conoscere strani compagni di letto”». Questa frase risale al 1795 e con essa il critico letterario e poeta (nonché scrittore satirico) William Gifford nel suo The Mævial riprende fra virgolette la citazione shakesperiana ma al misery aggiunge il politics: è chiaro già all’epoca che la politica non ha nulla di “pulito” ed è paragonabile alla sventura o alle avversità. Ovviamente non è un politico a dirlo, bensì uno scrittore satirico... che siano da sempre i comici a capire più dei politici?
La nuova accezione della frase prende piede e il numero del 10 marzo 1832 della rivista newyorkese “Workingman’s Advocate” è categorico: «Politics do make strange bedfellows», la politica - e solo quella! - crea strani compagni di letto. Lo ribadisce il celebre Edward George Bulwer-Lytton nel romanzo Una famiglia originale (The Caxtons, 1849) dove scrive: «Poverty has strange bedfellows», la povertà ha strani compagni di letto. Non li crea, secondo l’autore: li ha e basta. Un ventennio dopo il saggista statunitense Charles Dudley Warner vuole partecipare al gioco e, parlando di alleanze improbabili fra nemici, nel romanzo My Summer in a Garden (1870) lancia il suo «Politics makes strange bedfellows». Torna la “creazione” e da allora la politica crea strani compagni di letto.
In Italia l’espressione «La povertà fa conoscere all’uomo strani compagni di letto» è attestata già nel 1883 ne La sapienza del mondo, un dizionario di proverbi curato da A.F. Negro. Ma non sembra entrare subito nel linguaggio popolare: si dovranno aspettare i partiti politici per capire a pieno la frase!
Nel 1945 si comincia ad applicare l’espressione ad alcuni partiti italiani, troppo diversi per stare insieme eppure eccoli lì a braccetto, come fa notare la rivista “Domani” dell’epoca. Nel 1970 per la rivista “L’Est” gli strani compagni di letto sono le minoranze etniche della Russia; “Panorama” nel 1982 considera tali gli ebrei e gli hippies visti nel film Lasciami baciare la farfalla di Hy Averback; riviste come “Italia Contemporanea”, “Mondoperaio”, “L’Europeo” e “L’Espresso” usano sempre più la frase in modo politico, citando sempre la seconda parte (“strani compagni di letto”) e mai la prima (“le avversità creano”).
Con l’arrivo in Italia nel 1965 del film Strani compagni di letto (Strange playfellows), commedia romantica con Rock Hudson e Gina Lollobrigida, la frase è amplificata in ogni dove ed entra di prepotenza nel vocabolario italiano, troppo spesso dimenticandosi l’origine shakespeariana.
Sarà stato un comico populista quel Gifford, che nell’Ottocento osò paragonare la politica alla sventura? Possiamo tacciare di antipolitica tutti quelli che - anche inconsciamente - in due secoli hanno preso le avversità della vita che intendeva Shakespeare e le hanno trasformate in politica? Possiamo eccome... ma solo se costretti dal nostro “strano compagno di letto”.
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