Quarantaquattro anni prima della nascita di Cristo, Marco Tullio Cicerone inserisce un passaggio di grande importanza nella sua opera De natura deorum (La natura degli dèi). Possibile, si chiede l’autore, che qualcuno davvero ancora creda che il mondo sia il «risultato dell’incontro fortuito» di elementi solidi? Per spiegare l’assurdità di questa convinzione, Cicerone concepisce un esempio per assurdo: è come se lanciando «un mucchio di pezzetti d’oro, con su incise le ventuno lettere dell’alfabeto, possano formarsi gli Annali di Ennio. Ignoro se la casualità possa creare anche solo un verso».
Il celebre letterato latino si rifà ad una lotta che nei secoli precedenti ha acceso gli animi dei grandi pensatori greci, una questione che sarebbe rimasta “scottante” nei millenni a venire: l’atomismo. Possibile che un mondo così perfetto, dove tutto funziona con millimetrica precisione, sia null’altro che un mucchio di atomi disposti a casaccio? Quest’idea ha infiammato le menti di molti grandi pensatori, che spesso si sono guadagnati critiche feroci - Dante nell’Inferno si scaglia contro l’atomista Democrito, «che ’l mondo a caso pone» (IV, 136) - e che per quasi duemila anni ha creato una specie di rivalità tra fazioni: chi dice che tutto è creato dal caso, chi dice che in tutto c’è un disegno. L’ovvia presenza nel discorso del pensiero religioso intorbida le acque e rende ancora più accesi gli animi.
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