Una casa nobiliare nella Recanati del 1813, due giovani ed eruditi rampolli, che vivono le loro giornate fra gli studi e la poesia. Il giovane Orazio Carlo è però turbato dallo strano comportamento del fratello maggiore Tardegardo Giacomo, e nel suo diario ci narra della sua irrequietezza e della sua smaniosa contemplazione della luna, mentre efferati delitti sconvolgono la pace della sonnolenta cittadina marchigiana, strane simbologie e oscuri misteri sembrano risorgere da un inquietante passato.
Io venia pien d’angoscia a rimirarti di Michele Mari viene ora ripubblicato dall’editore Cavallo di Ferro (precedenti pubblicazioni Longanesi 1990, Marsilio 1998), quella dell’editore romano è un’iniziativa eccellente perché siamo di fronte a un vero proprio gioiello narrativo.
Si tratta di un romanzo epistolare sorprendente e originalissimo, erudito e accattivante. L’autore con uno stile ottocentesco musicale e poetico, mai banale o farsesco, ma bensì dinamico e fluente riesce a ricostruire un mondo passato fatto di sentimenti e sensazioni, in cui però si racchiude e si confonde un mistero sanguinario e crudele. Le pagine scorrono rapide pervase da un’oscura musicalità che risuona in una prosa raffinata.
Un giovane licantropo fa scempio di carni innocenti, mentre la luna silenziosa e splendente illumina e rischiara la vita, la notte, i segreti degli uomini.
“O graziosa luna, io mi rammento/Che, or volge l’anno, sovra questo colle/Io venia pien d’angoscia a rimirarti:/e tu pendevi allor su quella selva/siccome or fai, che tutta la rischiari”
Quello di Mari è un gioco letterario magnificamente riuscito, un perfetto romanzo gotico, un esercizio di stile narrativo denso di significati, uno specchio dell’anima in cui si mostra il doppio di ognuno di se, la mistica compresenza di luce e tenebre, amore e crudeltà.
Splendido. Da leggere assolutamente.
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