Dal Brasile arriva un romanzo sorprendente, Borges e gli oranghi eterni, portato in Italia da Atmosphere libri alla ricerca de “L’altra faccia del giallo”. Il giornalista e scrittore Luis Fernando Verissimo si addossa il difficile compito di gestire un personaggio epocale: Jorge Luis Borges.

      

L’io narrante, Vogelstein di Porto Alegre, è «scelto per costituire l’accessorio di un delitto, neutro e innocente come gli specchi di una stanza».

Il trasferimento da Baltimora a Buenos Aires dell’edizione 1985 del congresso della Israfel Society - che già dal nome fa capire essere un raduno di fan di Edgar Allan Poe - coincide con la morte del gatto Alef. (La citazione dell’Aleph borgesiano è forse un po’ di grana grossa: sarebbe stata molto più apprezzata la scelta di chiamarlo Beppo, come il personaggio di Byron in omaggio del quale Borges chiamò il suo amato gattone.) Il traduttore e professore d’inglese protagonista decide che la libertà appena conquistata (non poteva viaggiare, prima, proprio per via del gatto) merita di essere sfruttata e quindi parte per il congresso.

I motivi per partecipare ad un incontro di appassionati di Poe sono molteplici, per il nostro Volgestein, non ultimo quello di “riappacificarsi” con Borges. Più di vent’anni prima, infatti, il solerte professore d’inglese aveva proposto all’ignoto autore di un racconto di modificare il testo per “migliorarlo”. L’ignoto autore - un Borges ad inizio carriera - non gradì il gesto e iniziò un lungo senso di colpa in Volgestein.  Incontrare il Maestro argentino al congresso sarebbe quindi un buon modo per scusarsi personalmente dell’incomprensione letteraria.

Ma il congresso non si svolgerà mai, interrotto sul nascere dalla scoperta della morte violenta di uno degli ospiti più burrascosi: Joachim Rotkopf. Questi, appena arrivato alla convention, si è reso antipatico a tutti i partecipanti e inoltre ha anticipato il tema scottante del suo intervento: dimostrare una storia di plagi e pratiche magiche fra Poe e Lovecraft. Che sia questo il motivo per cui è stato messo a tacere?

 

Inizia un giallo assolutamente atipico, un omaggio tanto alla letteratura fantastica quanto alle “finzioni in giallo” in cui amò misurarsi Borges. La trama è un sottile filo teso nel vuoto letterario solo per giustificare un percorso acrobatico ed equilibristico in cui il protagonista, rappresentante di un divertito circo narrativo, ha come unici contrappesi la verità e la finzione: saperle distinguere non è fra i poteri del lettore.

Verissimo - il cui cognome è davvero tutto un programma! - fonde il Borges persona (nel senso attuale del termine) fino a creare un Borges persona (nel senso latino del termine, cioè una maschera teatrale): appare dunque naturale parli in modo molto diverso da come il poeta argentino usava parlare. Il Borges di Verissimo non si diverte a citare versi dei poeti amati o brani delle antiche letterature germaniche, non parla di Chesterton o di Carlyle, né di Stevenson né di Lugones, né della Commedia né delle Mille e una notte: parla invece di Poe, autore amato da tutti molto di più di quanto lo amò il poeta di Buenos Aires, che raramente lo citava preferendogli tutt’altri narratori.

Stesso si potrebbe dire per argomenti come il Necronomicon o John Dee, che il Maestro argentino non trattò mai, troppo lontani come sono - se presi sul serio, come sembra fare Verissimo - dalla sua concezione del mondo e della letteratura. Ma, di nuovo, non stiamo parlando di quel Borges.

Abbandonata l’idea di ritrovare nel co-protagonista della vicenda quel Borges - che annoverò fra i doni ricevuti Dio, con magnifica ironia, i libri e la notte - ci si lascia andare ad una narrazione veloce e scorrevole ma densa di nozioni e collegamenti, di erudizione e amore per i voli pindarici letterari.

Lo spunto che più avvicina Verissimo al vero Borges è l’idea di un tutto che si nasconda nelle lettere, la composizione delle quali non è un mero artificio lessicale: può esistere un insieme di lettere che non solo identifichi il tutto, ma che lo sveli alla conoscenza creando reazioni incontrollate. E se un “orango infinito”, componendo a caso le lettere, scovasse il nome del tutto? Quali sarebbero le conseguenze?

    

Borges e gli oranghi eterni è un romanzo ricco di citazioni - neanche tanto mascherate, come il Dottor Cuervo dal Corvo di Poe! - da leggere d’un fiato anche solo per il gusto di andare poi a controllare le “finzioni” borgesiane in esso presenti, per prolungare cioè il gusto letterario di un autore brasiliano dall’incredibile nome di Verissimo.