“Ma allora posso ritenermi fortunato?”.
“Non proprio, direi”.
“In che senso?”.
“Il ritardo c’è anche stavolta ma probabilmente non è stato ancora segnalato. Se tanto mi dà tanto entro pochi minuti arriverà la comunicazione ufficiale”.
Niente di più maledettamente vero perché quell’ipotesi venne infatti avvallata, nei tempi previsti dal veggente, dallo speaker ufficiale delle Ferrovie dello Stato che confermò la previsione del barista.
Il treno 708, proveniente da Roma, viaggiava, si fa per dire, con oltre mezzora di ritardo.
“Non le resta che pazientare. Probabilmente avrà trovato un po’ di traffico, incrociato qualche semaforo rosso di troppo”.
Non replicai a quella battuta che doveva fare parte dell’inflazionato repertorio di banalità a cui si affidava quotidianamente il mio interlocutore.
Cercai, invece, di boicottare la sensazione montante di rabbia che crebbe in me una volta appresa quella notizia.
Che cosa sarebbe stata mezzora in più o in meno di attesa rispetto alla durata di una vita intera?
Invece era molto, troppo. Davvero insopportabile.
Vivevo nell’ingenua convinzione che quella giornata sarebbe stata perfetta e quel primo contrattempo sembrò terremotare tutte le false certezze che avevo coltivato durante la fase di preparazione psicologica a quell’evento.
Dopo essermi congedato dal barista, approfittando del sopraggiungere di un altro paio di clienti, mi rifugiai in bagno perché volevo negarmi allo sguardo di qualsiasi altro essere umano dotato di un minimo barlume di senso critico.
Quando mi trovai di fronte ad un altro ampio specchio mi produssi in un patetico monologo, composto da frasi che riprodussi, mentalmente, più e più volte:
“QUESTA NON È UNA SITUAZIONE ADATTA A TE! POTREBBE RIVELARSI SOLO UN BLUFF, UNO SCHERZO IN CUI SEI CADUTO COME UN FESSO! L’UNICA CERTEZZA È CHE FARAI LA FIGURA DEL COGLIONE! QUANDO QUEL MOMENTO ARRIVERÀ BALBETTERAI STUPIDE FRASI SENZA SENSO! LASCIA PERDERE PRIMA CHE SIA TROPPO TARDI!”.
Quella mitragliata d’incognite era difficile da affrontare e la sventagliata di acqua fredda a cui sottoposi il mio viso non contribuì a migliorare la mia situazione interiore.
D’altronde ormai era troppo, troppo tardi per tornare indietro.
Mi dissi che ero un uomo dotato di corposi attributi e non mi sarei fatto di certo spaventare da quell’appuntamento al buio.
Tutto era avvenuto così in fretta. Il rapporto con la donna del mistero si era sviluppato grazie a quella rete informatica nella quale erano rimasti impigliati i nostri sentimenti e, soprattutto, la nostra curiosità.
C’eravamo infatti “conosciuti” su Facebook qualche mese prima, circostanza piuttosto comune visto che quel social network era divenuto, in un breve lasso di tempo, un fenomeno di costume che aveva attirato l’attenzione dei mass media e degli studiosi di relazioni sociali.
Continuando a rimuginare sul domani che mi attendeva ritornai sui miei passi e sfidai lo sguardo, sempre più malizioso, del barista che stava elaborando, in tempo reale, la propria decodifica mentale sul mio inquieto comportamento.
Feci un paio di passi verso di lui prima di recedere dal proposito di affrontare una schermaglia verbale che, con ogni probabilità, mi avrebbe visto soccombere in maniera impietosa.
Afferrai perciò, da un impolverato espositore, un pacchetto di gomme da masticare che serrai nel pugno destro con cui fendetti poi l’aria, affidando a quell’eloquente gesto ciò che avrei potuto dire con mille volgari parole.
Quando poi passai alla cassa per pagare venni freddato dall’insinuazione proferita dalla mastodontica commessa.
“Ci deve proprio tenere un sacco a questa donna. È emozionatissimo”.
“Arrivederci e pessimo lavoro”.
Fuggii da quel covo di curiosoni prima che quei due potessero rivoltare la mia privacy come un calzino.
Dovetti comunque confrontarmi con la sparata di colei che, pur con tutti i limiti estetici insiti nel suo aspetto, continuava ad appartenere al genere femminile e a rappresentarne il punto di vista.
E se lei si era accorta così facilmente della mia condizione emotiva, chissà cosa sarebbe accaduto quando mi fossi ritrovato faccia a faccia con la mia miss X.
Per quanto mi riguardava potevo solo affermare con certezza che, tra un messaggio e l’altro, un misterioso meccanismo si era impadronito della mia psiche e mi invitava a vivere quel momento ad ogni costo.
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