Serge Novak e Rory Jensen sono due scrittori di successo, anche se profondamente diversi l’uno dall’altro: francese il primo, americano il secondo, sono quindi figli dei rispettivi luoghi comuni sull’argomento.
Con sobria eleganza Novak si è affacciato alla scrittura in punta di piedi, e dopo il grande successo nel 1978 del suo romanzo d’esordio - Viaggio d’inverno (Voyage d’hiver) - ha iniziato una carriera davvero particolare: non mostrandosi mai al pubblico, in nessuna occasione. Nessuno conosce il volto di Serge Novak, ad eccezione del suo agente letterario.
Giovane sognatore con i soldi di papà, Rory Jensen incarna alla perfezione lo stereotipo americano dello scrittore esordiente: gironzola di giorno, scrive di notte, compra casa, beve vino e vive con la fidanzata a spese dei genitori. Quando si rende conto che gli editori di New York non sono in fremente attesa di un esordiente, Jensen deve sottostare alla più grande umiliazione per un giovane scrittore: lavorare per vivere. Ma questa esperienza traumatica dura poco: finalmente un editore si rende conto della sua bravura e in poco tempo lo scrittore squattrinato diventa l’autore del momento.
Serge Novak e Rory Jensen sono osannati da critica e pubblico, e sono disposti entrambi a mettere le rispettive vite in secondo piano - Novak ha una famiglia disastrata e Jensen ha imboccato la stessa strada - in nome di un valore più alto: le parole. Ma entrambi hanno un grande problema: le parole non sono le loro.
Stiamo parlando di due film, diversi in tutto se non nell’idea di due protagonisti che covano il segreto della più antica ed autorevole forma di comunicazione: il plagio.
Mentre nel film americano sappiamo subito che Jensen pubblica come proprio il romanzo di uno sconosciuto - il cui manoscritto ha ritrovato in una vecchia borsa comprata da un antiquario, vecchio ma sempre attuale stratagemma per ritrovare cose preziose - nel film italiano solo a narrazione inoltrata nasce il sospetto che Novak non sia l’autore dalla reputazione cristallina che si era sempre pensato.
Non ci troviamo però di fronte a plagi “cattivi”: nessuno dei due autori è uno spietato arrivista che non ha problemi a compiere atti biasimevoli per sfondare nel mercato letterario. Ovvio che il successo piace ad entrambi, così come la carne è debole e l’occasione fa l’uomo ladro: servono altri luoghi comuni per capire il loro comportamento?
Entrambe le frasi sono pronunciate quando ancora non si sa che gli autori hanno plagiato i rispettivi romanzi d’esordio, eppure i due scrittori hanno praticamente confessato da soli, ricordando ai lettori che la letteratura è finzione: esattamente come la realtà.
Un romanzo è fiction eppure ritrae la realtà. La ritrae dal punto di vista di chi guarda, è vero, ma tutti noi guardiamo e tutti noi abbiamo un nostro punto di vista sulla realtà: ma non la chiamiamo fiction. Un romanzo è la verità che qualcuno ha colto e messo per iscritto. E se questo autore avesse colto la vita di un altro? Se invece di parlare della propria vita, offuscata da giudizi soggettivi e pregiudizi, avesse raccontato in modo lucido e letterariamente soddisfacente la vita di un’altra persona? E se quest’altra persona, scoperto l’accaduto, si fosse impossessato di quel romanzo? Le parole non sarebbero le sue, è vero... ma la vita sì.
Con un delizioso gioco letterario Serge Novak scrive il suo ultimo romanzo: La vie et la mort de Serge Novak. È un’autobiografia? È un romanzo? Non ha senso chiederselo: le due cose sono sempre fuse. «Da bambino mi piaceva sostare sotto gli alberi, mi piaceva sparire e riapparire nei varchi di luce lasciati dalla nebbia. A tredici anni sotto uno di quegli alberi inventai e disegnai una storia, poi la dimenticai. Quando è riaffiorata, dopo qualche tempo, pensai di scriverla. Credo sia cominciato così il mio gioco a nascondere, il gioco di un bambino che non sa cosa teme o desidera: se restare nascosto o venire scoperto».
E se la memoria di quella storia fosse riaffiorata da qualche altra parte? Se un altro autore l’avesse colta e resa reale? Sarebbe plagio? Su questo si interroga Rory Jensen, che decide di spiegare tutto nel romanzo The Words. E spiega tutto nel modo più letterario possibile: romanzandolo e... non scrivendolo lui!
Viviamo tutti, scrittori e lettori, in eterno sospesi fra realtà e finzione, fra la vita e le parole, senza mai renderci conto che non esiste distinzione. Ogni tanto ci serve un plagio per farcelo ricordare.
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