Sal scattò in avanti, deciso. L’uomo alle spalle del Cancelliere era poco più di un’ombra, ma qualcosa nel suo atteggiamento lo aveva insospettito. Certo di aver intravisto uno scintillio che poteva anche non essere quello degli occhiali dalla montatura d’oro, infilati a metà nel taschino, aguzzò la vista, sforzandosi di valutare in fretta i pro e i contro di ogni decisione.
Con un secco cenno del mento segnalò il problema agli uomini della scorta. Preso per il gomito il Cancelliere lo condusse con fare disinvolto in un angolo riparato, proprio mentre i suoi intervenivano a disarmare il sospetto. Quello che aveva visto brillare era in realtà un coltello a serramanico, tanto sottile da sembrare un innocuo tagliacarte, ma potenzialmente micidiale.
Il Cancelliere tedesco, Konrad Schröder, per quanto fosse abituato a queste scene, come sempre palesò la sua totale disapprovazione, non gli piaceva che gli uomini della scorta intervenissero a quel modo, soprattutto in pubblico. Creava pregiudizio alla sua immagine, diceva, che la gente vedesse la sua paura. Ma Sal replicava sempre che una settimana in ospedale avrebbe nuociuto alla sua reputazione ancora di più.
Ancora fresco di nomina, il nuovo Cancelliere aveva assoluta necessità di rinsaldare vecchie e nuove alleanze, dopo la tornata elettorale che in Francia aveva portato al governo un Presidente ostile alla politica rigorista tedesca non rimaneva altro che procurarsi consensi in Italia.
La macchina scura si materializzò sibilando quasi dal nulla, e con un certo sollievo Sal sospinse Konrad all’interno. Come la folla sparì dalla loro visuale, anche il cipiglio dell’uomo si scompose lentamente. Giunti all’hotel, Sal lasciò che fossero i suoi uomini ad accompagnare il Cancelliere fino all’alloggio. Lui ora voleva solo rilassarsi, così fece rotta verso il bancone del bar.
– Tutto a posto? – disse il barista con fare vivace al suo avvicinarsi.
Sal farfugliò qualcosa di indefinito e chiese una bibita analcolica ma colorata. Da quando aveva smesso di bere, gli aperitivi analcolici lo deprimevano, così si sentiva sempre meglio quando gli venivano serviti in un calice a coppa ampia, con ombrellini e decorazioni di carta. Anche perché non gli piaceva che gli altri sapessero che ormai non beveva più. Era un segreto che preferiva condividere con pochi.
Quando ebbe in mano il bicchiere, si diresse verso il posto d’angolo, da dove poteva avere una visuale ottimale su tutta la sala e tenere d’occhio l’ingresso. Daria, l’interprete personale del Cancelliere, era poco lontano e stava flirtando spudoratamente con un tizio che non prometteva niente di buono. Ben vestito, aitante, l’aria da faina, era il prototipo perfetto del cacciatore di dote, o forse poteva essere un giornalista a caccia di qualche indiscrezione piccante. Non che fosse stupida, quella dannata ragazza, anzi tutt’altro. Lei lo faceva apposta. Per provocare una sua reazione. Qualsiasi cosa pur di attirare l’attenzione. Inutile darle corda, ancora peggio contrastarla, Sal decise di lasciarla cuocere nel suo brodo. Presto si sarebbe stancata di quel gioco.
Così fece finta di non averla vista e si dedicò con la massima attenzione a spuntare mentalmente la routine di sicurezza serale disponendosi ad aspettare che il suo vice effettuasse il periodico controllo. Quando lo vide affacciarsi nella hall, gli fece cenno che stava per ritirarsi e quello venne a sostituirlo nella sorveglianza della sala. Gli raccomandò Daria con un cenno di intesa. I suoi uomini sapevano che per quanto la ragazza facesse non dovevano intervenire se non in caso di reale pericolo. Lei rise forzatamente, come inseguendolo alle spalle. Nell’uscire colse un rapido scorcio di pelle nuda, le gambe accavallate e la posa provocante che lei aveva assunto. La gola rovesciata all’indietro e la mano posata sulla coscia, proprio all’interno delle gambe, erano un segnale per lui, così come il modo di scrollare i lunghi capelli rossi. Non se ne curò. Tra loro due ormai era in corso una guerra, e non era quello il momento di raccogliere provocazioni.
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